A fare da spunto di questo mio conversare su quel che è della libertà di espressione dei giornalisti e quel che è della loro responsabilità nel distinguere i fatti dalle opinioni, c’è ovviamente il «caso Sallusti». Solo che la conferma della condanna secca a 14 mesi di prigione di un direttore reo di aver lasciato pubblicare un corsivo anonimo rivelatosi offensivo nei confronti di un giudice, è un fatto in sé abnorme e dunque un pessimo punto di partenza. Non può non apparire un fatto abnorme a un cattolico o a un musulmano, a un laico o a un credente, a un seguace di Silvio Berlusconi o di Antonio Di Pietro, a uno di sinistra o di destra. È abnorme, punto e basta. Il segno lampante che la legge in materia è pessima e va cambiata. Un giornale ha sbagliato nel dar conto e giudicare un singolo fatto (e mi sembra evidente che il Libero del 2007 avesse sbagliato e tanto più nel non ammettere di avere sbagliato)? Tu giudice commini una multa, eventualmente salata, a compensare il danno morale subito dal querelante, come del resto era avvenuto in un grado precedente del giudizio. Forse il giudice querelante poteva contentarsi del risarcimento che gli era stato attribuito e non insistere nel chiedere un’ulteriore ammenda da parte di Sallusti, e seppure da devolvere a un’organizzazione caritatevole. Tra gentiluomini c’è sempre modo di intendersi senza ricorrere ai missili terra-terra. Qualche tempo fa il mio ex direttore di Panorama, Nini Briglia, s’era risentito di un mio giudizio che lo riguardava e aveva adito le vie legali nei miei confronti. I nostri rispettivi avvocati si sono scambiati un paio di lettere e la cosa è finita lì. Ciao, Nini.
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