La Commissione Ue ha deciso che non si può perdere altro tempo e per questo a settembre, salvo colpi di scena, aprirà una procedura di infrazione contro l’Italia sulla gestione dei diritti d’autore. Il motivo è che nonostante la riforma voluta dal ministro Franceschini, la liberalizzazione del settore è «solo parziale»: resta il monopolio della Siae e la concorrenza tra i vari soggetti non è garantita. Come rivelano fonti concordanti, a Bruxelles l’orientamento non è giunto a cuor leggero perché c’è la consapevolezza che un passaggio di questo tipo possa avere forti ripercussioni politiche a Roma, oltre che in ambito artistico e musicale. In Italia la situazione è particolarmente complessa per effetto della legge 633 del 1941 che istituisce il monopolio. Il governo inizia a studiare una riforma, ma intanto scoppiano le battaglie legali. Quando spuntano i primi operatori concorrenti, con l’italo-britannica Soundreef in testa, Siae li porta in tribunale per dissuadere artisti ed emittenti dal rivolgersi ad altri soggetti. Questi ultimi rispondono presentando esposti alla Commissione Ue e all’Antitrust per denunciare l’impossibilità di operare sul mercato. Così tra una querela e un ricorso, mentre in Europa i monopoli spariscono, quello italiano resiste. E sopravvive anche al decreto legislativo n.35 licenziato nel marzo 2017, tre anni dopo l’invito di Bruxelles. Nelle intenzioni il provvedimento avrebbe dovuto recepire le indicazioni europee, ma in pratica non risolve i problemi. Questo perché se da un lato la riforma apre all’ingresso di nuovi operatori dando la possibilità ai titolari dei diritti di affidarsi «a un organismo di gestione collettiva o a un’entità di gestione indipendente di loro scelta», dall’altro lascia nelle mani della Siae la raccolta di tali profitti poiché prevede che questa venga svolta «in via esclusiva».
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