La Corte di giustizia europea ha confermato la condanna emessa dalla Commissione Europea nel 2004 nei confronti della Microsoft. L’azienda leader mondiale nel software ha avuto confermata la condanna per abuso di posizione dominante e la relativa multa di 497 milioni di euro. Il tribunale europeo ha invece annullato (parzialmente) la decisione in merito alla nomina di un comitato di esperti indipendenti incaricati di sorvegliare il rispetto della decisione.
Bruxelles plaude la sentenza del tribunale di primo grado su Microsoft. «La commissione Europea – come si legge infatti un primo comunicato – accoglie favorevolmente la sentenza» che conferma le multe inflitte dall’esecutivo di Bruxelles. In Borsa il titolo di Microsoft risultava in calo nella preapertura sui mercati internazionali (-2,2%, a 28,40 dollari). Per quanto riguarda la questione dei server (i computer centrali che gestiscono le reti interne), la Commissione ha imposto alla Microsoft di rivelare tutte le informazioni tecniche necessarie affinchè produttori di software concorrente potessero realizzare prodotti in grado di dialogare con questi computer. «La Corte -si legge nella sentenza- conferma che il necessario grado di interoperabilità richiesto dalla Commissione è ben fondato e che non vi è alcuna incoerenza tra il grado di interoperabilità e il rimedio imposto dalla Commissione». Il tribunale di prima istanza «respinge le affermazione di Microsoft secondo cui la Commissione in realtà volesse consentire ai sistemi operativi per server di funzionare in ogni aspetto come un sistema Windows, e, dunque, di clonare o riprodurre i propri prodotti».
Se la Microsoft intende adeguarsi alla sentenza di primo grado deve, olòtre che pagare la sanzione, cominciare a vendere in tutti i Paesi della Ue, i suoi sistemi operativi Windows senza il Media Player. E’ anche possibile però che diecida un ulteriore appello per una sentenza di secondo grado: deve scegliere quale strada percorrere entro 2 mesi e 10 giorni da oggi.
La commissione Ue aveva sanzionato Microsoft perchè il gruppo americano si era rifiutato – questa l’accusa – di fornire ai concorrenti alcune informazioni relative alla interoperabilità e di autorizzarne l’utilizzo per lo sviluppo e la produzione di prodotti concorrenti ai propri sui mercati dei sistemi operativi per i server dei gruppi di lavoro. Come misure correttiva la Commissione Ue aveva imposto a Microsoft di divulgare a qualsiasi impresa che voleva sviluppare e distribuire sistemi operativi le specifiche dei protocolli di comunicazione cliente-server e server-server. Il tribunale nota che la Commissione europea ha insistito espressamente sul fatto che «il rifiuto abusivo imputato a Microsoft riguardava unicamente le specifiche di alcuni protocolli e non sugli elementi del codice risorsa e che non intendeva ordinare la divulgazione di tutti gli elementi ai concorrenti». L’obiettivo, dunque, era «eliminare l’ostacolo costituito per i concorrenti dal grado insufficiente di interoperabilità esistente con l’architettura Windows». Di qui la decisione di respingere la tesi Microsoft «secondo cui il grado di interoperabilità stabilito dalla commissione aveva l’obiettivo di permettere ai sistemi operativi per server concorrenti di funzionare come un sistema windows permettendo ai con concorrenti di Microsoft di clonare o di riprodurre i suoi prodotti». Quanto al rifiuto di fornire informazioni sulla interoperabilità, il tribunale ricorda che «secondo la giurisprudenza, anche se le imprese sono libere di scegliere i propri partner commerciali, un rifiuto proveniente da un’impresa in posizione dominante può in certe circostanze costituire un abuso di posizione dominante». E proprio abuso di posizione dominante può essere definito il rifiuto di un titolare di diritto di proprietà intellettuale a dare a un terzo una licenza per usare un prodotto in presenza di tre circostanze: il rifiuto deve riguardare un prodotto o un servizio indispensabile per esercitare una attività su un mercato vicino, deve essere di natura tale da escludere la concorrenza, deve ostacolare l’ingresso di un prodotto nuovo per il quale esiste una domanda potenziale dei consumatori. Nel caso in esame «il tribunale constata che la Commissione non ha commesso un errore nello stimare che tali circostanze erano ben riunite».
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