Meta spegne i giornali: in Australia non pagherà più per le notizie sui social. E il governo di Canberra s’infuria. Se volete sbirciare il futuro, se ritenete che sia giusto delegare ai padroni dell’algoritmo cosa fare o non fare sui social, fate una capatina dall’altra parte del mondo. In Australia, nei giorni scorsi, Meta ha deciso di non rinnovare i contratti con gli editori e di non continuare a pagare i contenuti dei giornali. In pratica, dopo aver prosperato per anni sul lavoro e sul sangue altrui, Meta ha deciso che non sia giusto pagare il lavoro degli altri. Una scelta gravissima a maggior ragione se si pensa, e ci sono volute due guerre e una pandemia per confermarcelo, che un’informazione professionale, seria e libera ha un valore, prima che economico, politico e strategico. La tenuta della democrazia passa attraverso i giornali. Lo abbiamo detto a qualche vecchio e dimenticato sottosegretario e lo continueremo a dire a uno degli uomini più ricchi del pianeta. Il governo australiano è infuriato. “E’ fondamentale che i media siano in grado di funzionare e di essere adeguatamente finanziati – ha detto il primo ministro Anthony Albanese – è disonesto che una compagnia possa incassare profitti da investimenti altrui e non solo investimenti di capitale ma del lavoro dei giornalisti”. Eppure questo non solo è accaduto ma c’è stato pure chi ha fatto in modo che diventasse la regola. Il web, senza regole, un Far West dove vince il più forte, negli anni ha visto i più grandi, gli Over the Top, drenare risorse pubblicitarie (spesso utilizzando metodi raccapriccianti in uno Stato di diritto) a discapito di chi lavorava ai contenuti che finivano a ingrassare i dati di traffico. Meta afferma che “solo il 3 per cento dei contenuti è legato alle news” e che preferisce chiudere la sezione per “ottimizzare” i bilanci. Dopo aver lucrato, per anni, sui giornali.
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