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MENTRE CALABRÒ SI AUMENTA LO STIPENDIO L’AGCOM LAVORA PER FAVORIRE I ‘GRANDI’: CHIESTO INTERVENTO AL GOVERNO

Come tutti sanno, il 3 agosto scorso, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso d’urgenza proposto due giorni prima all’Agcom contro le sentenze del Tar del Lazio che annullavano la delibera 366/10/Cons relativa all’Lcn (Logical channel number), l’ordinamento automatico dei canali della tv digitale sul telecomando di casa.
Le sentenze del Tar del Lazio sono due: in quella più corposa (la 6814/2011), si sostiene che i tempi della consultazione pubblica indetta dell’Agcom sull’Lcn siano stati troppo brevi (15 giorni anziché un minimo di trenta) e che nello stabilire i criteri per l’assegnazione dei canali siano state erroneamente utilizzate le graduatorie dei Corecom (i comitati regionali dell’Agcom), che hanno tenuto conto più della dimensione delle aziende (per esempio il numero di dipendenti) che delle abitudini dei telespettatori. La seconda sentenza, invece, si sofferma nello specifico sulla presunta inadeguatezza del metodo Corecom.

L’ultima parola sulla vicenda arriverà solo tra un mese quando, il 30 agosto, Consiglio di Stato esaminerà il caso entrando nel merito della questione. Ma intanto, in una mozione presentata al Senato, l’Onorevole Elio Lannutti dell’Idv, sottolinea come l’Agcom continui a dimostrare di non essere un’autorità super partes e si muova, invece, per favorire gli operatori dominanti sul mercato, rafforzandoli ulteriormente. Per questo chiede al governo di intervenire «per rivedere i criteri di nomina del Presidente dell’Agcom, anche in vista delle prossime scadenze, al fine di garantire ai cittadini un’autorità indipendente e autonoma nell’attività e nelle deliberazioni».
Inoltre, in un articolo pubblicato su “Italia Oggi”, il 24 marzo 2011, si riportava la notizia dell’aumento dello stipendio del presidente Corrado Calabrò, il cui compenso sarebbe lievitato di 50.000 euro, quanto gli stipendi annui di 6 lavoratori precari (atto sindacato ispettivo 4-04853). La mozione chiede che i tagli per risanare la finanza pubblica siano applicati alla generalità della pubblica amministrazione «senza eccezioni riguardo a ben noti oligarchi eletti alle presidenze delle autorità che non sembrano operare per l’indipendenza e l’autonomia, ma spesso con delibere che favoriscono più le aziende che gli interessi dei consumatori».

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