Meno giornali = meno liberi, la campagna per la difesa del pluralismo arriva in Sud America

La prensa y estado del malestar, titola così sulla difficile situazione dell’editoria italiana l’agenzia Uypress che elogia la campagna Meno giornali = meno liberi a favore del pluralismo e della democrazia

Fari puntati dall’Uypress sulla difficile situazione della stampa italiane e sull’iniziativa Meno giornali = meno liberi

La stampa e lo stato di agitazione: titola così all’interno del proprio portale web l’agenzia uruguayana Uypress (www.uypress.net): la crisi europea ed in particolare italiana non si misura solo nelle cose materiali, ma anche nella graduale perdita di democrazia che si sta pericolosamente registrando.

Quando si parla di welfare state – si legge nell’articolo – sappiamo tutti che ci riferiamo all’Europa e spesso ci limitiamo a parlare di fattori materiali. È un riduzionismo pericoloso. Lo stato sociale riguarda anche la cultura e l’anima.

In Italia tra gravi battute d’arresto che si sono verificate nella ridistribuzione più regressiva della ricchezza dalla fine della guerra e, eventualmente, senza dati statistici affidabili, stiamo assistendo all’annegamento, all’asfissia di molti media, molti giornali e pubblicazioni di piccole e medie dimensioni.

La campagna “Meno giornali = meno liberi” (www.menogiornalimenoliberi.it) è sponsorizzata dall’Alleanza delle Cooperative della Comunicazione, la Federazione della Stampa Italiana, l’Unione dei Lavoratori della Comunicazione, Associazione Stampa On Line, e l’Unione della stampa periodica Italiana.

L’obiettivo della campagna diretta sia all’opinione pubblica che al Parlamento è quello di far approvare misure legislative urgenti per la salvaguardia mezzi di informazione cooperativa e associativa che sono a rischio imminente di chiusura per gravi tagli ai contributi di stato alle piccole pubblicazioni.

Circa 200 riviste pubblicate da cooperative e associazioni senza scopo di lucro corrono il rischio di imminente chiusura, se non verranno attivati provvedimenti governativi e legislativi già esistenti e che però sono stati tagliati drasticamente.

Queste chiusure rappresenterebbero un declino democratica e culturale molto importante per il Paese che ha tessuto una parte essenziale del suo tessuto sociale, culturale e locale da questi media.

Senza questi mezzi l’informazione sarebbe ancora più concentrata in pochi e molto potenti mezzi editoriali e in molte regioni e città tutte le informazioni sarebbero nelle mani di una sola impresa. Si tratta di un processo di indiscutibile monopolizzazione delle informazioni.

Non sarebbe solo una perdita di pluralismo, un passo indietro a livello culturale, ma si tratterebbe anche di un grave attacco culturale ai media che hanno portato nei vari territori delle visioni e diverse sensibilità, oltre ad aver affrontato diverse problematiche con ampie vedute e diversi modi di vedere tematiche politiche, sociali e culturali.

Tutto ciò riguarda anche i giornali italiani editi in altri Paesi del mondo, incluso “Gente d’Italia” in Uruguay.

Il costo sociale di questa situazione sarebbe la perdita di tre mila posti di lavoro tra giornalisti, poligrafici e tutta la catena di produzione e distribuzione.

Ogni anno in Italia e all’estero verrebbero distribuite 300 milioni di copie in meno.

E’ stato dimostrato che, anche dal punto di vista fiscale, la chiusura di questi mezzi di comunicazione comporterà una grave perdita allo stato italiano, molto più alto dei 90 milioni di euro da stanziare per il sostegno ai mezzi d’informazione.

Si tratta di un grave attacco alle tradizioni democratiche italiane, alla pluralità di informazione imprescindibile ed alla Carta dei diritti dell’Unione Europea che pretende che ogni Paese promuova la libertà di espressione e di informazione.

La crisi economica in Italia non solo colpisce il benessere materiale della maggior parte delle famiglie, ma la loro cultura del benessere e la sua proiezione nel mondo.

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