Si torna al punto di partenza, in Commissione Giustizia. Al Senato, il ddl sulla diffamazione a mezzo stampa non riesce proprio ad andare avanti.
Si dibatte tra gli ostacoli e si incaglia ancora in aula, stavolta sulla pena accessoria dell’interdizione dalla professione di giornalista per il condannato. Tra sospensioni della seduta, liti, riformulazione degli emendamenti e schermaglie varie suona il De profundis.
«Senato di incapaci. Ma meglio in piedi a San Vittore che in ginocchio a palazzo Madama», commenta amareggiato su Twitter il direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti, che tra un paio di settimane sarà costretto a scontare la sua condanna a 14 mesi di detenzione.
La legge che tutti volevano, alla fine non la vuole nessuno. Troppi passaggi, troppe modifiche, troppe ipocrisie. Eppure, nel centrodestra assicurano che c’è un pressing serratissimo di Silvio Berlusconi perchè il ddl ottenga il sì al più presto. Il Cavaliere, riferiscono, «non può voltare le spalle» al direttore de Il Giornale.
Per i suoi principali exsostenitori di Pdl e Pd il testo comunque è stato stravolto e va raddrizzato. Ma c’è chi parla di «ostruzionismo». Come lo stesso relatore pidiellino Filippo Berselli, che è anche presidente della commissione che ha partorito il primo testo, destinato all’approvazione breve in via deliberante ma poi rinviato all’aula. L’altra relatrice, la Democratica Silvia Della Monica, è definitiva: «Meglio fermare l’iter legislativo. L’aula ha mostrato insofferenza per una legge affrettata, sull’onda del caso concreto di Sallusti, che può trovare altre vie per la definizione».
Che potrebbe essere la fine lo dice la seduta di ieri mattina, in cui si dovevano chiudere i giochi su un testo condiviso almeno dalla maggioranza e invece si è visto di tutto. Fino allo stallo. Il ddl si arena attorno all’emendamento dei pidiellini Alberto Balboni e Franco Mugnai sull’interdizione del giornalista condannato. Riformulato 3 volte non convince nessuno e, su richiesta di Luigi Li Gotti(Idv), la seduta viene sospesa. La quadra non si trova neppure alla ripresa. Torna all’attacco Giovanni Legnini del Pd, che più volte chiede il ritorno in Commissione, appoggiato da Idv e Api-Fli. Il Pdl, che prima si opponeva, ora è diviso e si accoda. Accusa il leghista Federico Bricolo: «La legge è stata affossata definitivamente per incapacità e colpa di Pdl e Pd». Si discute se il rinvio sia solo per il fondamentale articolo 1, che sostituisce al carcere multe e sanzioni, o per tutto il provvedimento. Riprende il ping pong in commissione,ma non si cava un ragno dal buco. La norma contestata viene riscritta, si precisa che la recidiva scatta «per lo stesso reato» e non per reati «della stessa indole» (come la diffamazione semplice) e viene ampliata la discrezionalità del giudice: sospensione da uno a 3 mesi per la prima condanna, da uno a 6 mesi per la seconda, da un mese ad un anno per le successiva, sempre per il reato commesso entro il biennio. Per il Democratico Felice Casson, è sempre «un pastrocchio». Meglio, un binario morto. «Situazione di grande difficoltà», ammette Berselli puntando il dito su Pd e Idv. Le sedute fissate per ieri sera e stamattina saltano per la fiducia sul decreto Sanità e ci si aggiorna a martedì.
Vincenzo Vita del Pd, che lotta per bloccare quella che vede come una legge-bavaglio, promette che dalla commissione la legge non uscirà. E scomoda Wagner e Verdi: «Se prima questo ddl procedeva sulle note della Cavalcata delle Walchirie ora siamo alla Marcia dell’Aida». Peccato, che qui di trionfale non ci sia proprio nulla.
I partiti trovano un’intesa sul ddl diffamazione che esclude il carcere per i giornalisti ma incrementa le multe. Lunedì l’aula del Senato boccia in un primo momento il testo e lo rinvia in Commissione: poi slitta tutto al giorno dopo. Ieri il Senato rinvia il testo in commissione Giustizia. La discussione alla Camera era stata prevista dal 5 novembre.
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