E’ stato il giudice di una corte neozelandese di Auckland ad accordare il vitalizio al fondatore del sito di file sharing, accusato di aver lucrato su contenuti protetti da diritto d’autore mediante la creazione di spazi “premium” sulla popolare piattaforma.
I reati contestati a seguito dell’indagine e sequestro dei beni da parte dell’Fbi erano di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro oltre che violazione delle norme del copyright Statunitense (art.18 dell’United States Code).
Ebbene dopo la richiesta di estradizione dalla Nuova Zelanda del multimilionario Doctom, avanzata dalle autorità Usa, ed in seguito ai recenti sviluppi giudiziari che hanno riscontrato vizi procedurali nelle modalità di sequestro dei rispettivi beni (computer, denaro, auto di lusso) del presunto truffatore, si è ora giunti ad una possibile svolta in sede processuale. Tutte le ricchezze accumulate secondo l’accusa attraverso un’attività illecita di pirateria online potrebbero presto ritornare al legittimo proprietario. Cinque sarebbero gli errori di forma riscontrati nei fascicoli che hanno autorizzato l’irruzione nella villa blindata dell'”imprenditore”, circostanza sufficiente, secondo l’ultima sentenza sul caso, ad accordare di diritto all’imputato e alla famiglia un assegno mensile di 60mila dollari neozelandesi (48mila dollari americani). Il giudice Judith Potter avrebbe dato il suo assenso alla smobilitazione del denaro, oltre a consentire a Doctom l’accesso ad una delle sue Mercedez.
Colui che è stato indicato dagli Stati Uniti come il “mega-cospiratore” dell’economia mondiale, a questo punto, deve solo sperare di non finire nelle grinfie del suo principale inquisitore, gli Stati Uniti. Le Autorità statunitensi starebbero già provvedendo a regolarizzare i verbali delle indagini svolte pur di vedere Doctom seduto nel banco degli imputati di una corte a stelle e strisce. Allora sì che le argomentazioni della difesa potrebbero non bastare a scagionare il “nemico” numero uno dei detentori di proprietà intellettuale. Specie se gli avvocati di Doctom dovessero limitarsi a ribadire l’estraneità alle accuse mosse, definendo il portale incrminato dalle Major discografiche e cinematografiche, come immacolato “servizio di archiviazione” di file in remoto.
Solo due giorni fa la MPAA (Motion Picture Association of America) ha richiesto che i dati contenuti sul server di Carpathia Hosting, non venissero rimossi in quanto materiale utile ai fini del processo. Una decisione che ha scatenato allarmismi per un possibile coinvolgimento legale degli utenti. Ipotesi subito smentita dall’Associazone che ha ribadito di voler servirsi dell’archivio esistente (25 petabyte di contenuti caricati dagli oltre 66 milioni di utenti), gestito in cinque anni dai collaboratori più stretti di Kim Doctom, al solo scopo di quantificare i danni arrecati, stimati del valore di più di mezzo miliardo di dollari.
A subentrare nelle accuse è stata anche una società di intrattenimento, la Valcom, intenzionata ad avviare un procedimento legale per la diffusione illecita di 6mila file di sua proprietà con richieste di risarcimento per ciascuna causa, di 150mila dollari. Soldi che potrebbero essere attinti dal fondo economico confiscato ai trasgressori, pari a 42milioni di dollari di beni congelati. Ma le sorprese potrebbero non finire qui.
Manuela Avino
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