MARRA, SERVONO EDITORI FORTI E LIBERI

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Il mondo dell'informazione è in piena rivoluzione: giornalismo e
editoria devono misurarsi con le nuove sfide della tecnologia e della
comunicazione. Ecco cosa ne pensa Giuseppe Pasquale Marra, patron del gruppo
Adnkronos, che sull'argomento è stato intervistato dal settimanale "A" diretto
da Maria Latella.

Quanti anni avrá ancora davanti l'informazione così come viene fatta
oggi, cioè con il ricorso alle fonti tradizionali (con una struttura gerarchica:
cronista, capo redattore e direttore)? Questa è stata la formula che ha retto
per secoli, quanto durerá ancora visto che con internet e con i blog chiunque
può improvvisarsi giornalista?

«Le rivoluzioni culturali non sono insurrezioni né golpe. I loro tempi sono
medio-lunghi e imprevedibili. Fissare delle scadenze in questa materia è come
dare i numeri al lotto. Un dato è certo: l'informazione tradizionale, con
funzioni e status codificati, è ormai al crepuscolo, vicina o no che sia la
notte. Internet e i blog sono gli strumenti propri
dell'informazione/comunicazione mondializzata. E nel mondo-paese sará sempre più
difficile distinguere l'una dall'altra. Tutto sta cambiando. Innanzitutto il
nostro modo di leggere e reagire ai fatti. Non ci scandalizziamo più di nulla.
Perchè? Neppure ce lo chiediamo. Che il lettore o l'uomo voglia rientrare nella
caverna da cui uscì milioni di anni fa?».

Il giornalismo del futuro privilegerá la capacitá di saper raccontare
e quindi di saper scrivere molto bene, oppure la notizia nuda ed essenziale così
come certe volte appare nei blog?

«Il futuro riguarda l'editoria prima ancora del giornalismo. È l'editore
prima del giornalista a doversi misurare con
la tecnologia e le novitá che introduce. Sta cambiando il nostro modo di vivere
e di lavorare. Pensi a Twitter, la rete basata sui micromessaggi. È esplosa nel
mondo e negli Usa dove in un anno s'è passati da 1 milione a 17 milioni di
utenti. Ieri le cronache erano prevalentemente scritte e non soffocavano la
fantasia del giornalista anche quando non sacrificavano i fatti. Per questo
grandi giornalisti sono stati grandi scrittori. Un nome per tutti: Dino Buzzati.
Le sue cronache appartenevano al giornalismo quanto alla narrativa. Oggi ci si
illude che l'immagine dica tutto, che sia sempre veritiera. Non è così.
L'immagine è una parte del tutto e non il tutto. È una veritá parziale».

Chi sono stati i grandi giornalisti italiani degli ultimi 30 anni? E
chi sono i bravi giornalisti italiani di oggi?

«I grandi giornalisti degli anni Trenta erano quei colleghi che sapevano
violare le maglie strette della censura, o dell'autocensura, lasciando intuire
ai lettori quale fosse la veritá che non raccontavano o raccontavano in parte.
Oggi è arduo indicare bravi giornalisti. E non perchè non ce ne siano, ma perchè
siamo nel mezzo di quella rivoluzione a cui accennavo e dunque non sono ancora
definiti dei criteri validi per definire i bravi e i meno bravi. È bravo,
comunque, il giornalista che si fa leggere o ascoltare e gode della fiducia del
pubblico. Ma perchè possa guadagnarsi questa fiducia deve avere alle spalle un
editore che guardi più ai lettori che a quelli che sono chiamati i poteri forti.
E che in effetti lo sono. Checchè si dica e si pensi».

Qual è il giornale che legge per primo al mattino? Ascolta la radio?
Che cosa vede in tv?

«Il Sole-24 ore. La mia sveglia è una radio-sveglia. Alla tv vedo i
telegiornali, le trasmissioni di approfondimento politico (Porta a Porta,
Ballarò, Anno Zero, Matrix e, il pomeriggio, Sky) e qualche film. E il sabato o
la domenica, quando non gioca in casa, la Roma, sempre su Sky».

L'informazione politica in tv si può considerare viva o morta?

«Morto o agonizzante è chi non vede la tv. Come si può ignorare? È l'immagine
del mondo che entra nelle nostre case. Un tempo alcuni intellettuali
eccessivamente elitari hanno snobbato questo medium. Forse perchè li escludeva.
O forse perchè ignoravano l'uso del suo linguaggio. Certo non basta la tv a
riempire il sacco. Nutrirsi solo di tv è come passare le giornate a fissare le
fiamme nel caminetto».

Quali sono i tre peccati mortali per un giornalista? Da cosa si
capisce se un giovane è portato per questo mestiere o no?

«Il primo, davvero mortale, è di non sapersi trovare un posto e di cercarlo
con la raccomandazione di un padre o uno zio influente. Insomma di essere un
figlio della Casta. Un castorino, come mi piace dire. Questo peccato lo commette
soprattutto chi vuole fare il giornalista per farsi notare, esibirsi, e non per
passione. Il secondo peccato è non saper interpretare e raccontare il proprio
tempo. A prescindere dal medium che si usa. Il terzo è sacrificare i fatti per
promuovere le proprie opinioni. A commettere questi peccati si parte male».

Quale futuro prevede per i grandi gruppi editoriali italiani?
Immagina che un giorno potranno diventare di proprietá internazionale?

«Posso formulare un augurio più che fare delle previsioni. L'augurio è che si
torni all'editoria pura. All'editore che trova le ragioni di vita o di morte
delle sue testate nell'audience, e non in altri interessi primari rispetto a
quelli editoriali». (Sole24ore)

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