I giornali politici e quotidiani che fanno capo a cooperative e realtà no profit esprimono preoccupazione per i tagli previsti dal decreto sulla manovra economica. Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, ha affermato che: “Questa norma, se sarà lasciata così com’è provocherà la chiusura, nel giro di un paio di mesi al massimo, ma forse anche prima, di alcune decine di testate giornalistiche, tra le quali il Manifesto, l’Unità, Liberazione, il Secolo, la Padania, Europa, Avvenire. Alcuni di questi giornali sono sostenuti da gruppi editoriali privati potenti e ricchi, altri da partiti robusti e in grado di finanziare, altri ancora per vivere contano soltanto sulle proprie forze, sulle vendite, sul finanziamento pubblico. Se si chiude il rubinetto del finanziamento pubblico e si stabilisce che il diritto ad informare sia riservato a chi possiede capitali necessari, almeno due di questi giornali, Liberazione e manifesto, dovranno dichiarare fallimento e sparire dalla circolazione. Con la conseguenza che l’Italia, unico paese in Europa a non avere una rappresentanza parlamentare della sinistra tradizionale, si troverà senza giornali di sinistra. Potremmo dire che la stampa di sinistra sarebbe chiusa per legge”.
Anche Avvenire alza la voce sui tagli “improvvisi e improvvidi” al fondo per l’editoria: “Tagliare i contributi può essere necessario se questo significa risolvere anomalie, smontare ingiuste rendite diposizione o, se preferite, asciugare ‘cuscinetti di grasso’. Ma se i tagli dovessero invece risultare fatti sol selezionatore per colpire soprattutto le voci di libertà sfiorando appena le voci dei poteri forti allora saremmo davanti a qualcosa di incomprensibile. Anzi ad un autentico e inaccettabile misfatto. E comunque non si capisce la logica per cui gran parte dei soldi dello Stato, stanziati in base alla legge di settore, finiscono per sostenere testate edite da società quotate in Borsa e che distribuiscono utili ai soliti noti (Mondadori, Rcs, Confindustria, Gruppo Espresso…)”.
Fabiana Cammarano
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