La riforma prevede le sanzioni più pesanti proprio per i casi analoghi a quello del direttore del Giornale. Altro che «salva-Sallusti», la riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa, che si dibatte malamente nel pantano del Senato, alla fine potrebbe rivelare un intento addirittura opposto. Nel testo approvato dalla Commissione Giustizia, che oggi dovrebbe essere votato dall’aula dopo lo stop di venerdì, c’è un articolo che calza a pennello alla vicenda che ha portato il direttore de Il Giornale alla condanna a 14 mesi di carcere.
Con tutti i dettagli di una legge ad personam.La storia del pezzo pubblicato da Libero nel 2007, quando Sallusti lo dirigeva, ormai la conoscono (quasi) tutti: riguardava l’aborto di una tredicenne e il ruolo del giudice che ha autorizzato la sua scelta ed era firmato con lo pseudonimo Dreyfus. Solo dopo la condanna è venuto fuori che l’autore era Renato Farina, giornalista radiato dall’Ordine per i suoi legami con i servizi segreti. Ecco, ora leggiamo l’articolo 57 che ricalca esattamente questo caso. Per «omesso controllo» il direttore (o vice) responsabile degli articoli pubblicati, «è punito a titolo di colpa, se un reato è commesso, con pena stabilita per tale reato diminuita fino a un terzo». Qui descrive la posizione di Sallusti. Ma, attenzione: «La diminuzione non si applica nel caso l’autore sia ignoto o non identificabile», ossia lo scritto sia apparso firmato con pseudonimo. E qui siamo a Dreyfus. Poi la norma procede: «La pena è aumentata se l’autore è un giornalista sospeso o radiato dalla professione». Ecco il caso di Farina. Per concludere: «La pena è raddoppiata qualora il colpevole abbia riportato condanna per un reato della stessa indole nei due anni precedenti». Qui, invece, torniamo a Sallusti, che è recidivo. E non una volta sola. «In caso di ulteriore condanna per un reato della stessa indole, la pena è raddoppiata».
Sembra che, cucendogli addosso questo vestito, i senatori si siano ispirati al caso di scuola Sallusti. In modo da assicurarsi che il carcere, scandaloso agli occhi di tutti, venisse sì cancellato ma sostituito dalle pene pecuniarie e dalle sanzioni più dure possibile. Nel resto del testo, infatti, si stabiliscono multe salatissime da 5 a 100 mila euro (oltre al risarcimento) e le sanzioni disciplinari accessorie di sospensione o addirittura radiazione dall’Albo dei giornalisti. Per tutto questo, alla vigilia della molto incerta approvazione in Senato, si moltiplicano gli appelli a correggere o bloccare il ddl.
La Federazione internazionale dei giornalisti va in soccorso della Fnsi ed «esprime viva preoccupazione e contrasto» per un testo che «avrebbe l’effetto di scoraggiare il giornalismo investigativo e favorirebbe l’autocensura, per paura di non poter reggere i contrasti giudiziari avviati in considerazione delle multe smisurate previste».Intanto al Senato si arriverà al buio al voto segreto delle 17 sul cruciale articolo 1, che cancella il carcere e fissa appunto le multe, perché manca qualsiasi accordo preventivo tra i maggiori partiti. Il Pdl fatica a richiamare all’ordine i senatori che giovedì hanno fatto saltare l’intesa di maggioranza, unendosi al partito trasversale anti-giornalisti. Stamattina doveva esserci la riunione in cui il capogruppo Maurizio Gasparri voleva raccomandare compattezza, ma è stata annullata per i concomitanti funerali di un senatore. Il Pd, poi, torna a insistere sul rinvio del testo in commissione per approfondire meglio i punti controversi. Il che allungherebbe a dismisura i tempi. Circola sempre l’ipotesi di un sì alla sola norma anti-carcere. La sostengono Salvatore Lauro (Pdl)e Vincenzo Vita ( Pd), ma quanti altri? E se il testo sarà approvato in Senato senza accordo Pdl-Pd, quanto ci metterà la Camera a farlo a pezzi?
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