Fondo pubblico per l’editoria, una questione molto delicata in cui la politica fatica a compiere delle scelte trasparenti. Un territorio di cruciale importanza dai punti di vista civile, economico e culturale che vede coinvolti Governo, organi d’informazione ed associazioni di settore.
Se, da un lato, questi ultimi mettono in mostra i dati del fabbisogno degli aventi diritto al fondo (che necessitano di almeno 91 dei 100 milioni di euro stanziati in origine), si fa largo una domanda nell’ambiente politico: è giusto supportare la stampa con risorse collettive invece che affidare lo sviluppo dell’informazione alla concorrenza di mercato? In quest’ottica si colloca, infatti, la proposta presentata alla camera da parte del Movimento 5 Stelle. Il testo proposto da Giuseppe Brescia punta a rimuovere i contributi governativi ai giornali che avrebbero l’obbligo di pubblicare avvisi, bandi, concorsi promossi dalle amministrazioni locali. Nella visione del M5S tale manovra consentirebbe allo Stato di risparmiare circa 80 milioni all’anno, che sarebbero ridistribuiti nell’innovazione tecnologica e per promuovere startup editoriali.
Ma è davvero così?
Pluralismo sotto attacco
“Dove andrà a finire il pluralismo? C’è bisogno di garanzie, bisogna far capire che questo sostegno serve alle imprese e che quello che sembra un risparmio per le casse dello Stato in realtà rappresenta una spesa: 80 milioni ‘risparmiati’ sul fondo non vanno forse a finire negli ammortizzatori sociali? Solo per fare un esempio”. A parlare è Caterina Bagnardi, presidente della Federazione Italiana Liberi Editori (File). Sulla stessa linea quasi tutto il panorama editoriale italiano, che respinge duramente e con fermezza quello che vien considerato un attacco alla libertà d’informazione ed al pluralismo. Secondo Franco Siddi, segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) sottolinea quanto sia necessario, ancora di più in un periodo come quello che stiamo vivendo, “un intervento indipendente e mirato dello Stato per garantire il pluralismo informativo e la stessa legalità. Perché i fenomeni criminali proliferano in mancanza di quotidiani. Siddi non chiede elargizioni a pioggia, e neanche “mance per comprare testate e giornalisti”. E per una maggior trasparenza consiglia di rendere tracciabili i pagamenti, “per evitare che la furbizia di taluno succhi risorse collettive”.
Un fondo speciale per l’editoria
La proposta dela Fnsi fa riferimento all’istituzione di un fondo speciale da realizzarsi in tre punti:
Inoltre, per rendere più libera l’attività di informazione, la federazione della stampa propone di estendere le garanzie contrattuali del lavoro dipendente ai 40 mila giornalisti che svolgono la professione (su più di 110 mila iscritti ai vari ordini regionali).
In campo anche i periodici cattolici
Dura critica nei confronti del Governo anche da parte della Federazione Italiana Settimanali Cattolici (Fisc), che attraverso il presidente Francesco Zanotti si schiera in linea con le proposte di Siddi. Sulle 189 testate cattoliche italiane (che annoverano complessivamente 500 lavoratori e 250 giornalisti per 4 milioni di lettori a settimana) sono solo 70 a ricevere fondi statali. La proposta del M5S, secondo le parole di Zanotti, “toglierebbe risorse e voce a chi non ha voce, in primo luogo alle periferie. Tanto più in uno scenario di sbilanciamento della pubblicità sui grandi network televisivi rispetto alla carta stampata”.
Le voci libere devono essere tutelate dalla politica dato che sono a tutti gli effetti un bene pubblico, che pertanto non dovrebbero essere soggette alle leggi di mercato. Il fondo per l’editoria e gli aiuti dello Stato hanno sempre costituito una linfa vitale per le redazioni delle testate cattoliche, e ciò nonostante siano stati ridotti a 1,8 milioni 12 mesi fa.
La stampa periodica e il diritto alla democrazia dell’informazione
Le stesse tesi sono condivise da Domenico Volpi dell’Unione Stampa Periodica Italiana (Uspi) a garanzia della Costituzione. L’Uspi racchiude 78 mila testate di medie e piccole dimensioni (tra cui molte non profit) che nel 2013 hanno sviluppato 128 milioni di ricavi. Il supporto statale, secondo Volpi, tutela il pluralismo e permette ai piccoli editori di restare nel mercato nonostante la concorrenza di grandi gruppi industriali, soprattutto di quelli che operano nel settore televisivo facendo incetta di ricavi pubblicitari. Anche secondo Volpi l’abrogazione dei fondi statali all’editoria, “permeata da un’impostazione ideologica liberista”, non potrebbe rilanciare il settore in crisi, ma andrebbe ad aggravare i problemi delle testate cartacee già alle prese con la concorrenza aggressiva della Rete. Per non parlare delle startup editoriali che sono in difficoltà in tutto il mondo.
L’Uspi propone la convocazione degli “Stati generali dell’editoria” per riformare il sostegno da parte dello Stato, andare incontro all’innovazione e garantire le giuste risorse a testate non profit e cooperative.
Traghettare il settore nella modernità
La posizione della Federazione Italiana Editori di Giornali (Fieg), è ben espressa dal direttore generale Fabrizio Carotti, che rifiuta di considerare il panorama informativo nazionale un comparto assistito: le testate che beneficiano del fondo sono 215 su 7 mila, mentre le risorse hanno conosciuto solo riduzioni. “Un’informazione di qualità – dice Carotti – deve poi tener conto anche delle asimmetrie in essere tra i diversi canali mediatici. A cominciare dai canali pubblicitari” .
Allora cosa bisogna fare? “Sarebbe necessario traghettare l’intero settore nella modernità. E stabilire certezza nell’attribuzione dei fondi e rimborsi tramite l’utilizzo rigoroso del Fondo straordinario per l’editoria messo a punto dal governo Renzi-Lotti. Misura fondamentale – prosegue il dg – per stabilizzare il lavoro precario, favorire i prepensionamenti, promuovere l’innovazione tecnologica, informatizzare la rete di distribuzione e vendita, tutelare il copyright” .
Anso controcorrente
L’unica delle associazioni di settore a staccarsi dalle altre è l’Associazione Nazionale Stampa Online (Anso), che attraverso il presidente Sara Cipriani propone un sistema di incentivi fiscali per chi decida di investire in pubblicità nelle testate sul web per agevolare la crescita delle redazioni on line. Da ricordare che la stampa on line, pur essendo attiva da 20 anni, non ha mai beneficiato delle sovvenzioni pubbliche. Secondo la Cipriani la proposta del M5S è quantomeno da valutare, dato che “è corretto vincolare all’effettiva diffusione e radicamento nel territorio gli interventi a favore del rinnovamento del panorama informativo”.
Novità in vista
In relazione alle attività parlamentare e istituzionale, sembra che possa essere ripristinata una parte del fondo editoria: il Governo potrebbe decidere di erogare circa il 55% di quanto previsto in origine (cioè circa 55 milioni). File, Fisc e Mediacoop hanno chiesto ed ottenuto di incontrare oggi al Quirinale Giancarlo Montedoro, consigliere di Stato per gli Affari giuridici e relazioni costituzionali. L’attività delle associazioni, dunque, prosegue con l’obiettivo di tutelare il sostegno al pluralismo attraverso garanzie per il futuro e trasparenza, e chiedendo di essere parte attiva nella definizione della riforma che tutti i soggentti in campo ritengono oramai indispensabile.
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