Renato Soru, editore dell’Unità dal 2008, è sempre più tentato
dal gettare la spugna: «Sono
azionista con grandissimo sacrificio
economico» ha detto intervenendo,
l’altro ieri, al seminario di
formazione per giornalisti di Redattore
Sociale a Capodarco di
Fermo. «Fare
l’editore è un mestiere difficile. Quando ho comprato l’Unità era
un giornale che in un solo anno
perdeva oltre 7 milioni di euro e
non vendeva neanche tante copie».
Per inciso, era l’epoca della
campagna elettorale di Veltroni:
il quotidiano era a un passo dal
portare i libri in tribunale. E Soru,
da buon compagno, si offrì. Faceva
conto sui soldi che avrebbe incamerato
dalla vendita di Tiscali,
di cui era fondatore, poi mai avvenuta
causa crisi economica.
«E così
mi è rimasto questo impegno – ha
raccontato Soru – e ho provato a rilanciare
la testata: Concita De Gregorio
ha fatto un lavoro importante,
ma…». Ma l’Unità, ancora oggi,
non ce la fa a galleggiare solo con il
finanziamento pubblico e con il
magrissimo supporto della pubblicità. Era dunque inevitabile
che durante l’incontro a Capodarco
qualcuno si alzasse con domande
scomode: come quella sui collaboratori
non pagati. «Domanda
fantastica» ha risposto Soru, «perché
vorrei sapere se si riferisce a Tiscali
o a l’Unità. Mi risulta che siano
tutti pagati».
Apriti cielo. Si alza
pure il presidente dell’Ordine
dei Giornalisti Enzo Iacopino:«Signor
Soru, c’è qualcuno che non
le dice tutto…». L’editore si toglie
allora la maschera:«Se ci sono collaboratori che non percepiscono
lo stipendio me ne scuso come
azionista. Questo le dà il segno di
un giornale che soffre. La chiusura
potrebbe anche essere una cosa
da prendere in considerazione,
per evitare una domanda come
questa». Ah, i giornalisti…
(Il Giornale)
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