Quando ero piccolo, ma piccolo veramente, accanto al letto mi ero incollato
una striscia di Peanuts. C’era Linus che diceva: «Sai, tutte le cose belle
devono finire». E Charlie Brown ci pensava un po’ e poi chiedeva: «Sì, ma
quando cominciano?». La mia cosa bella, anzi la bellissima e irripetibile
storia d’amore con Il Romanista, è iniziata in un giorno preciso. Esattamente
quattro anni fa. Era il 13 febbraio e faceva freddo proprio come oggi. Mattina
inoltrata. Entrai in una stanza piena di scartoffie al tribunale di Roma,
sezione per la stampa. «Vorrei registrare una testata», dissi. «Nome?». Il
Romanista. L’impiegata si illuminò, doveva essere tifosa anche lei. Nel
modulo c’era uno spazio bianco per il nome del direttore. Scrissi il mio:
Riccardo Luna. Ero emozionato, ma non avevo idea, quel giorno, di quanto
sarebbero stati intensi, faticosi, emozionanti, gioiosi, allegri e a volte
disperati i miei giorni da quella mattina di febbraio. Fino ad oggi.
Nei miei venticinque anni da giornalista ho avuto tante
soddisfazioni. Sono stato fortunato. La vita mi ha dato l’opportunità di fare
il lavoro che sognavo di fare da bambino. E di farlo bene. Vorrei continuare a
lungo. Ma niente è stato così importante per me, come questi quattro anni
appena compiuti. Insieme a voi ho fatto nascere e crescere Il Romanista e questo
nessuno me lo potrà mai togliere. Nessuno lo potrà cancellare. L’ho fatto
con tutto il cuore che avevo, con la passione giornalistica che mi ha trasmesso
mio nonno e poi mio padre, con quel coraggio – che mi viene non so da dove – di
battermi sempre per una causa giusta, anche se spesso è una causa persa. Forse
quel coraggio me lo avete dato voi. Ho scritto tante cose su queste pagine, ogni
volta con l’emozione di sapere che dall’altra parte c’eravate voi a
leggermi, e sullo sfondo un’idea da sostenere, anzi un sogno. Il quotidiano
dei tifosi più tifosi del mondo. Come suona bene. Come non esserne fieri. In
questi quattro anni abbiamo fatto un miracolo: io e voi, tutti quelli che mi
hanno aiutato, tantissimi, non li scorderò mai. Abbiamo creato dal niente un
quotidiano nel quale nessuno credeva. Doveva durare un mese, dicevano, e siamo
ancora qui. Siete ancora qui. Perché oggi io scendo, senza di me il viaggio sarà
più facile e il giornale potrà crescere per arrivare dove merita. Dove ho
sempre pensato di poterlo portare. Ci arriverà, ci sta già arrivando.
Io scendo qui e mi costa moltissimo. Ma penso che arrivati a
questo punto sia la cosa giusta. L’unica cosa da fare. Vedete, dopo quel 13
febbraio 2004, quando giravo la città con una valigetta e dentro un progettino
di business in cerca dei soldi per cominciare, avevo chiaramente in testa cosa
volevo fare. Un giornale che fosse la casa di tutti i romanisti, un posto dove
incontrarsi, parlare, difendersi da chi ci vuole male, e gioire per le vittorie.
Insieme.
In realtà in questo ultimo anno in particolare le cose non
sono sempre andate così. E’ difficile spiegare senza fare polemiche o creare
altri equivoci, ma provo a dirvelo con una metafora. C’è qualcuno che tutte
le mattine sui muri di questa casa che abbiamo costruito scrive cose offensive.
Ci diffama sistematicamente. Senza che nessuno lo fermi. Attirandoci fette di
odio quotidiano, circoscritto, per carità, ma ingiustificato. Fa male,
l’odio. E c’è qualcun altro che ha convinto il lattaio a non portarci più
il latte la mattina: ora, una mattina puoi fare a meno del latte, anche una
settimana forse, ma dopo un po’ diventa dura. E c’è ancora qualcuno che ha
tagliato i fili del telefono e così da quasi un anno non possiamo parlare con i
nostri interlocutori. Ci è vietato. Bizzarro per chi fa questo mestiere non
poter parlare no? Ora a me non interessa parlare di qualcuno, mi interessa
soltanto il bene di questo giornale, di voi lettori che ci dimostrate affetto
come se fosse vostro, e di quelli che ci lavorano. Questo conta.
Per questo ieri sera ho convocato la redazione, i miei
ragazzi, e gli ho detto quello che non gli avrei mai voluto dire: Mi dimetto.
Ingoiando la mia solita lacrima da sentimentale, ho subito aggiunto: per voi sarà
meglio, con questa mossa voglio favorire una riconciliazione fra tutti i
romanisti. Una nuova alleanza. Che renda il giornale più forte.
Quando abbiamo festeggiato il terzo compleanno, il 10
settembre scorso, il sindaco Veltroni ci ha scritto una lettera bellissima, ci
ha detto che oramai eravamo, siamo, «un patrimonio della città». Ecco, io
vorrei che questo patrimonio fosse difeso e aiutato da tutti, perché è di
tutti. La casa di tutti i romanisti. Da oggi senza alibi per nessuno.
Vorrei che l’As Roma potesse finalmente capire ed essere
fiera dell’esistenza del Romanista, perché solo i tifosi della Roma sono così
speciali da mantenere in vita un giornale. E questa è una cosa che tutto il
mondo ci invidia, sono venuti dal Giappone a intervistarci e mentre erano qui si
guardavano attorno sbalorditi. Come fate?, ripetevano. Facciamo. Ce l’abbiamo
fatta. E oggi che vi saluto e vi scrivo forse per l’ultima volta non sono
neanche triste. Non devo essere triste. Ragazzi, noi e voi ce l’abbiamo fatta.
Ora tocca a qualcun altro andare avanti. E’ la vita.
Nell’ultimo film di Dustin Hoffman, c’è Natalie Portman
che gli chiede: «Perché devi andare via? Perché deve finire la tua storia?».
E lui: «Perché solo se una bella storia finisce, ne può iniziare una più
bella». Ecco. E’ tutto. Buona fortuna, Romanista. A quelli che restano qui, a
via Barberini 11 dico solo, forza ragazzi, fate un grande giornale come solo voi
sapete fare, siete una squadra fantastica, oggi avete conquistato un altro
lettore.
(Riccardo Luna)