In piena campagna «spending review», con il decreto legge 63 del 18 maggio scorso, convertito nella legge 103 del successivo 16 luglio,
è stata decisa dal Governo una drastica riduzione delle cosiddette provvidenze all’editoria, con lo scopo, e comunque con il risultato, di eliminare la stampa libera, critica nei loro confronti.
Io sono grato al presidente del Consiglio Mario Monti perché – sia pure tartassandoci con micidiali imposte quando poteva ottenere lo stesso scopo con opposte teorie e provvedimenti di politica economica -, ha costretto gli italiani a «tirare la meccanica», come dicevano gli antichi carrettieri per frenare o rallentare il loro rudimentale veicolo afferrando e tirando indietro l’asta del freno dentato esistente fuori della sponda, in sostanza un primitivo sistema di blocco progressivo delle ruote di legno ferrate. I politici, però, non resistono molto in apnea o fuori dall’intricato sottobosco prodigo di ricchi stipendi, vitalizi, incarichi, commesse, appalti, tangenti, escort. Infatti, mercoledì 18 luglio, due giorni dopo i funerali della stampa indipendente celebrati, come detto, con la conversione in legge del decreto strozza-giornali da parte del Parlamento, nella chiesa sconsacrata di Santa Marta in Piazza del Collegio Romano a Roma il ministro dei Beni e delle Attività culturali Lorenzo Ornaghi ha assistito a una strana messa cantata: quella con cui, tolte le provvidenze ai giornali finanziate ovviamente dalle tasse pagate dai loro lettori, si annunciava un nuovo, inedito stanziamento di fondi a favore dell’editoria, diretto però non ai giornalisti ma ai pediatri.
Che c’entrano i pediatri con l’editoria nessun intervenuto l’ha spiegato né tantomeno giustificato. Come nessuno potrebbe né spiegare né giustificare un contributo finanziario ai giornalisti per visitare, assistere e curare puerpere, partorienti, neonati e fantolini. Uno stanziamento di 2 milioni di euro complessivi per i primi 28 mesi di esperimento, pagati dalla società Arcus di proprietà del Ministero dell’Economia, non è molto in verità, ma solo l’avvio di un nuovo rubinetto destinato a diventare una grossa condotta, capace ora di innaffiare poche carrozzine che in breve diverranno grandi carrozzoni. Iniziativa limitata, per di più, a 6 aree geografiche popolate dal 4,7 per cento della popolazione italiana; il che significa che, se essa continuerà, lo stanziamento dovrà schizzare ad oltre 40 milioni di euro per un analogo periodo.
Ma chi ha suggerito la peregrina iniziativa a questo nuovo ministro, rettore dell’Università Cattolica di Milano, non sposato e senza figli, poco conosciuto come politico quindi digiuno di carrozzine e di carrozzoni, illustre invece come amministratore di un quotidiano cattolico e giornalista egli stesso in quanto direttore della rivista «Vita e Pensiero», oltreché componente dei comitati scientifici di numerose riviste e autore di volumi e saggi pubblicati da giornali italiani e stranieri?
A Santa Marta ha presentato il progetto il presidente del Centro per il Libro e la Lettura Gian Arturo Ferrari. È lui che ha avuto l’idea? Certamente sarà un esperto di libri per essere stato per 13 anni amministratore delegato della berlusconiana Mondadori decidendo lui quali libri pubblicare. Solo che in un’intervista a Il Giornale.it Ferrari ha detto: «Diciamo la verità: la lettura è un’attività asociale, faticosa e anche noiosa». E in un’altra a La Stampa.it: «I veri lettori sono 4 milioni che rappresentano l’8 per cento degli adulti; il nostro primo obiettivo per il momento è di arrivare almeno al 10 per cento». Con che? Con 2 milioni di euro, 60 mila neonati e i loro pediatri?