Di chi doveva essere la Mondadori? La casa editrice è stata contesa per anni da due imprenditori italiani. Una tormentata vicenda orami trentennale, una lotta tra la Fininvest di Berlusconi e Cir di De Benedetti. La contesa giuridico – finanziaria è detta anche “guerra di Segrate” (dal nome della città che ospita la sede principale della Mondadori). Una storia di accordi, di litigi, di corruzione e sentenze ribaltate.
Tutto inizia nella metà degli anni ’80 quando Berlusconi, allora semplice imprenditore milanese, tenta la “scalata” alla casa editrice. Tuttavia il Cavaliere rimane in minoranza. Nel 1987 muore Mario Formenton (marito di Cristiana Mondadori) che dal 1971 (dopo la morte di Arnoldo Mondadori) era diventato presidente e gestore della società. Iniziano contrasti per la successione al vertice dell’azienda di famiglia le cui azioni sono divise tra la famiglia Formenton, la Cir e la Fininvest.
Intanto continua la scalata di Berlusconi che nel 1988 acquista anche le azioni di Leonardo Mondadori, nipote di Arnoldo. E in questi mesi che nasce l’equivoco che porterà ad anni di battaglie legali, condite da presunte tangenti e arresti. De Benedetti, socio e amico dell’ormai defunto Mario Formenton, nel 1988 convince la famiglia di quest’ultimo a cedergli le loro azioni. Tale contratto prevedeva il passaggio delle quote Formenton alla Cir entro il 30 gennaio del 1991. Tuttavia pochi mesi dopo la famiglia Formenton cambia idea. Nonostante ci sia un contratto vincolante questa si schiera dalla parte di Berlusconi permettendogli, a gennaio del1990, di diventare il presidente della società. De Benedetti protesta, ma invano. Le tre parti non si accordano. I tre decidono di ricorrere ad un lodo arbitrale. Dunque deciderà un collegio di tre arbitri, scelti di comune accordo da De Benedetti, i Formenton e la Corte di Cassazione. Rispettivamente saranno Pietro Rescigno, Natalino Irti e Carlo Maria Pratis a stabilire se il contratto Formenton – De Benedetti dovesse avere corso o se i Formenton potessero vendere le proprie quote alla Fininvest. Già sei mesi dopo arriva la prima decisione: l’accordo con la Cir è valido. Dunque De Benedetti ha il controllo della casa editrice. Berlusconi lascia la presidenza e viene sostituito dai dirigenti scelti dal presidente della Cir. Tra i manager c’è anche l’attuale ministro dello Sviluppo Corrado Passera.
Berlusconi e i Formenton impugnano il lodo davanti alla Corte di Appello di Roma. Questa affida il caso a tre giudici della I sezione civile: Arnaldo Valente, Giovanni Paolini e Vittorio Metta. Questi ribaltano la decisione precedente. L’accordo Formenton – De Benedetti è giudicato non valido perché in contrasto con la disciplina delle società per azioni. Per alcuni fu un cavillo ingiustificato. Fatto sta che tale sentenza, depositata il 24 gennaio del 1991, consegna la Mondadori alla Fininvest.
La sentenza non va giù non solo a De Benedetti, ma anche a molti dipendenti della Mondadori che si ribellarono al nuovo proprietario. La vicenda si complica e diviene un caso nazionale più unico che raro. Addirittura intervenne l’allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, che convoca le parti e propone un accordo di transazione. A fare da intermediario fu Giuseppe Ciarrapico, imprenditore, editore e politico vicino ad Andreotti e attualmente senatore del Pdl. Ciarrapico riesce a raggiungere tale accordo: La Repubblica e L’Espresso vanno alla Cir per 365 miliardi di lire; Panorama, Epoca e il resto della Mondadori restano alla Fininvest.
La situazione si calma per qualche anno fino al 1995 quando alcune dichiarazioni di Stefania Ariosto (antiquaria milanese con la passione del gioco, compagna del deputato di Forza Italia Vittorio Dotti, entrambi vicino a Berlusconi e a Previti) fanno dubitare la magistratura. La Ariosto parla di tangenti e di giudici corrotti. In particolare fa il nome di Valente e Metta che sarebbero stati corrotti da Cesare Previti, avvocato Fininvest e politico del partito di Berlusconi.
La magistratura indaga e trova dei sospetti movimenti di danaro che, dall’azienda di Berlusconi, andavano tramite gli avvocati della stessa Fininvest al giudice Metta. Quest’ultimo in quel periodo risulta avere una grossa disponibilità di denaro liquido di indubbia provenienza. Ciò insospettisce ancora di più i magistrati. Inoltre Metta si dimette dalla magistratura e inizia a collaborare come avvocato, insieme alla figlia Sabrina, proprio nello studio di Previti!
Tuttavia il giudice dimissionario non ammette alcuna colpa e dichiara di aver ricevuto del denaro in eredità. Da parte sua Previti afferma che il flusso di danaro che riceveva dalle casse Fininvest non era destinato a tangenti, bensì erano ricompense professionali.
Le sorti del processo Mondadori si intrecciano con quello della IMI-SIR, ugualmente macchiato da sospette tangenti. Dopo anni di processi, con tanto di sentenze ribaltate e prescrizioni, nel 2007 la Cassazione decide: Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora (tutti avvocati Fininvest), condannati ad 1 anno e 6 mesi per corruzione giudiziaria (inoltre per Previti è stata decisa un’interdizione perpetua dai pubblici uffici); il giudice Metta condannato a 2 anni e 9 mesi per corruzione.
Non finisce qui. Terminato il processo penale per tangenti, inizia quello civile per il danno economico derivante dal fatto che il lodo è stato viziato dalla corruzione. Nell’ottobre del 2009, Raimondo Mesiano del Tribunale di Milano, decide che la Fininvest di Berlusconi deve risarcire circa 750 milioni di euro alla CIR di De Benedetti per «danno patrimoniale da perdita di opportunità di un giudizio imparziale». Mesiano scrive che «se è vero che la Corte d’Appello di Roma emise una sentenza, a parere di questo ufficio, indubbiamente ingiusta come frutto della corruzione di Metta, nessuno può dire in assoluto quale sarebbe stata la decisione che un collegio nella sua totalità incorrotto avrebbe emesso. Proprio per questo, appare più aderente alla realtà del caso in esame determinare concettualmente il danno subito da Cir come danno da perdita di opportunità di un giudizio imparziale. Nessuno sa come avrebbe deciso una Corte incorrotta, certamente è vero che la corruzione del giudice Metta privò la Cir dell’opportunità di ottenere da quella corte una decisione favorevole».
Tuttavia nel marzo del 2010 la Corte d’appello di Milano rileva che Mesiano aveva condannato la Fininvest senza una perizia tecnica. Questa avviene nel settembre dello stesso anno e il risarcimento, dopo varie valutazioni di mercato, viene ridotto. A luglio del 2011 il Tribunale di Milano emette la sentenza relativa al processo d’appello. I giudici confermano la condanna, espressa in primo grado, ma riducono la cifra a 564 milioni di euro compresi gli interessi. La sentenza non piace a Marina Berlusconi che inoltra un esposto ai giudici motivando che questi avrebbero «forzato» una sentenza della Cassazione. Tuttavia La procura generale della Cassazione ha archiviato il procedimento disciplinare. Ultima battaglia di una “guerra infinita”.
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