Lo scivolone del professor Mario Monti fa scoppiare la polemica sulla stampa e sull’informazione. Per l’ex premier, l’informazione dovrebbe essere “centellinata” dall’alto. Perché “siamo in guerra” e così si fa in guerra quando “l’interesse di ognuno coincide con quello pubblico pena il disastro”. Intervenuto a “In Onda” su La7, proprio a proposito di pandemia, Mario Monti ha stigmatizzato il fatto che della pandemia “si parli per venti ore al giorno”. E ha sottolineato che, dal momento che “abbiamo già subito grosse limitazioni alla libertà”, moderare la stampa non sarebbe un male.
E, invece, lo sarebbe eccome. Il problema è che sono proprio dichiarazioni “leggere” (a dir poco…) come quelle di Mario Monti a dare benzina ai complottismi. E difatti, come volevasi dimostrare, tutto il mondo no vax e no pass ha utilizzato lo scivolone del professore per “puntellare” le sue (folli) teorie a proposito di un ritorno del nazismo (addirittura!) mascherato (sic!) da governo tecnico. Fanno più male, al dibattito pubblico, dichiarazioni del genere che decine di dirette dal mondo no vax. Perché, sicuramente senza nemmeno farlo a posta, Mario Monti ha fatto un assist spettacolare a quel mondo ultraminoritario, che sulla retorica della ghettizzazione fa sponda e proselitismo, altrimenti sarebbe privo di ragioni.
Per Monti. “Subito abbiamo iniziato a usare il termine guerra. Perché è una guerra ma non abbiamo minimamente usato nel mondo una comunicazione adatta alla guerra. E forse oggi non si riuscirebbe più, anche se ci fosse una guerra vera ad avere una comunicazione come quella che si usava in tali caso. Andando avanti in questa pandemia e altri disastri futuri globali della salute, occorre trovare sistema che concili libertà di espressione e dosi dall’alto l’informazione”. Dunque ha aggiunto: “Nella comunicazione di guerra c’è un dosaggio dell’informazione. Che nel caso di guerre tradizionali è odioso. Perché vuole far virare coscienza e consapevolezza della gente. Ma in caso di pandemia quando la guerra non è contro un altro Stato ma comune a tutto il mondo. Io credo che bisogna trovare delle modalità meno democratiche”.
Dunque l’ex premier ha tentato di motivare la sua posizione. “Abbiamo o non abbiamo accettato delle limitazioni molto forti a libertà di movimento? Bene che siano venute, quindi in una situazione di guerra quando interesse ciascuno coincide pubblico si accettano limitazioni della libertà. Non ci siamo abituato a considerare di dire una verità o qualsiasi sciocchezza come un diritto inalienabile su qualsiasi media garantito dalla dichiarazione universale dei diritti”.
Purtroppo, Mario Monti è incappato proprio in una sciocchezza. Il discrimine tra democrazia e (ogni) regime sta proprio nella tenuta delle libertà anche nella peggiore delle circostanze. E non si tratta di un sistema rodato e forte, bensì di un’architettura fragilissima. A cui i giornali, tanto vituperati, contribuiscono in maniera centrale e decisiva. La storia, anche quella nazionale, ci ha dimostrato che le bugie (cioé le comunicazioni “di guerra” come la celeberrima “arma di distruzione di massa” irachena agitata da Powell all’Onu) hanno (sempre) le gambe corte. E, seppure paghino a breve termine, presentano un conto, salatissimo, sul medio lungo periodo.
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