L’intelligenza artificiale sbarcherà al Corriere della Sera ma i giornalisti lo vengono a sapere solo a cose fatte. E, dopo l’incontro del direttore Luciano Fontana, insieme al dg di Mediagroup Alessandro Bompieri con la commissione Ai presieduta da padre Benanti, scatta la richiesta di istituire un codice di condotta. Fontana ha parlato di “importanza dell’originalità dei contenuti e della professionalità dei giornalisti come fattori centrali dell’innovazione in corso” dopo l’intesa tra il Corsera e OpenAi che porterà alla sperimentazione di un’assistente virtuale, che agirà tramite chat col lettore, ritenuta “bussola” per la ricerca di articoli, l’accesso ad altri contenuti e agli archivi. Insomma, una sorta di motore di ricerca interno. Ma la redazione di via Solferino qualche dubbio dovrà pure avercelo se il comitato di redazione aveva tentato di bloccare l’iniziativa chiedendo un incontro urgente al management. In questa battaglia, i cronisti del quotidiano milanese hanno trovato la sponda della Federazione nazionale della Stampa italiana che fa appello al prestigio romantico delle grandi firme del passato: “Il Corriere della Sera è il primo quotidiano italiano – ha affermato la segretaria Alessandra Costante – . Sulle sue pagine sono apparse le firme di Gabriele D’Annunzio, Benedetto Croce, Luigi Pirandello, Dino Buzzati, Luigi Einaudi, Grazia Deledda, Ada Negri, Pier Paolo Pasolini. Ha sempre fatto della sua ricchezza linguistica e della sua cifra intellettuale un punto di forza. Non vorremmo che, proprio adesso, venisse meno a quello che è stato il suo dna per 148 anni di storia”.
La vicenda è abbastanza complessa. E rivela che gli editori si stanno tuffando sulle nuove tecnologie mentre i giornalisti temono l’ennesimo colpo professionale. Il caso Axel Springer, che ha affidato tutto all’algoritmo chiudendo redazioni su redazioni in Germania, in Italia fa ancora più paura. Ed è questa la battaglia primaria. Su cui, poi, si innestano le altre. Quelle, per esempio, non meno importanti come la tutela del pluralismo. Non si può certo affidare il dibattito pubblico a un programma digitale, a un’intelligenza generativa, a un algoritmo.
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