Lino Jannuzzi dovrebbe essere oggi celebrato dai suoi colleghi per quello che è stato, un campione di dignità. Per raccontare le cose, che poi si sarebbero rilevate vere, è stato condannato al carcere in virtù di una sentenza basata su fatti falsi. Partiamo dall’episodio più clamoroso. Quando Enzo Tortora fu arrestato le immagini delle manette ai polsi certificavano per molti suoi colleghi l’indubbia colpevolezza. Ma visto che i giornalisti dovrebbero approfondire, per andare oltre le supposizioni delle procure Jannuzzi iniziò a leggere gli atti giudiziari alimentandosi del sentimento che dovrebbe essere la premessa del lavoro di ogni giornalista, il dubbio, e si convinse che l’accusa della procura napoletana era fuffa. Ed essendo un giornalista coraggioso non esitò ad accusare i pubblici ministeri per quella inchiesta. E questi non esitarono a denunciarlo per diffamazione. Sembra impossibile, eppure in Italia, è possibile che un giornalista, e questo è accaduto a Jannuzzi, venga condannato al carcere per un reato di opinione, nonostante l’opinione fosse che Tortora fosse innocente e che i pubblici ministeri avessero utilizzato strumentalmente i pentiti e che con sentenza definitiva è stato stabilito che l’opinione di Iannuzzi corrispondesse al vero. In altri termini, Jannuzzi fu condannato per aver detto la verità. Jannuzzi ha vissuto una vita tra processi penali e civili come contrappasso al suo indiscutibile coraggio ed ha fatto scuola. Ma non era politicamente corretto, e come Giovannino Guareschi, ha pagato di persona il desiderio di libertà. Ma ora insieme a chi come loro ha combattuto il peso dell’ipocrisia e del pressapochismo avranno carta e penna più leggere per raccontare il mondo al modo loro. E a noi rimane il piacere di poter riprendere in mano i loro articoli per gustare il piacere di leggere parole libere.
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