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L’informazione made in Usa è in crisi. Lo dice il rapporto annuale “State of the news media”

Il 18 marzo è stato pubblicato il rapporto annuale 2012 “State of the news media” a cura dell’Istituto Pew Research Center che, attraverso i suoi dati, rivela lo stato di salute in cui versano i media a stelle e strisce. Ma andiamo al sodo.
Nell’anno preso in esame, la tiratura dei quotidiani statunitensi è rimasta “stabile” rispetto al 2011 (anzi, Prc registra un sensibile aumento nelle edizioni domenicali). Tuttavia, a dar retta alle cifre, il quadro emerso è di quelli a tinte fosche. Risulta, infatti, che i cittadini d’Oltreoceano si stanno allontanando sempre più dai mezzi d’informazione tradizionali. Il rapporto parla chiaro: il 31% degli americani adulti ha dichiarato di sentirsi insoddisfatto dalla qualità dei contenuti e dalle notizie pubblicate sui fogli “made in Usa”. La situazione non è affatto rosea neanche per le agenzie di stampa.
Nel corso del 2012, infatti, gli editori sono stati costretti ad operare numerosi tagli al settore.
Ad esempio il personale nelle redazioni giornalistiche (considerando collaboratori fissi e free lance) è nettamente calato, con una forbice che va dal 25% al 40%. Anche sui 3 canali via cavo di notizie live (ABC, CBS e CNN), la copertura è diminuita del 30%, cosa che non accadeva dal lontano 1978. E lo stato di crisi si evidenzia anche per i telegiornali. Qui la perdita degli ascolti è addirittura generale: tiene solo la fascia del mattino, ma non in misura tale da ridurre la perdita complessiva in termini di audience. Per capirci: i tg vengono seguiti regolarmente solo dal 28% di persone al di sotto dei 30 anni, contro il 48% del 2006.
La naturale conseguenza di questo stato di cose è la ripercussione sugli introiti pubblicitari.
Nonostante i prezzi degli annunci abbiano toccato il loro minimo storico, infatti, il calo – tranne qualche piccola eccezione – risulta diffuso e generalizzato un po’ in tutti i comparti mediatici.
Per quanto riguarda la carta stampata, la pubblicità è calata addirittura di 1,5 miliardi di dollari scendendo, per la prima volta dal 1982, al di sotto della soglia dei 20 miliardi.
Per far fronte alle difficoltà, alcune grandi testate giornalistiche come il New York Times, hanno cercato di correre ai ripari adottando siti mobili a pagamento ma, nonostante le contromosse, i dati confermano che le entrate sono comunque in rosso.
Certo, viene data in crescita la pubblicità digitale con un modesto aumento del 3% in più rispetto al 2011, ma gli utili sono comunque molto più contenuti del previsto perché nel 2012 è diminuito, e non di poco, il valore dei banner, la forma più diffusa di pubblicità on line, riducendo, così, anche la portata dei profitti. L’unico dato positivo viene dalla pubblicità sul mobile, aumentata dell’80% per un totale di 2,6 miliardi di dollari. Ma, anche, in questo caso, il rilevamento non è poi così brillante se si considera che il 72% del ricavo pubblicitario è ripartito con le 6 principali piattaforme che lo veicolano: Facebook, Twitter, Apple, Millenial Media, Google e Pandora. Insomma: anche i proverbiali “ricchi” piangono. E se a piangere sono gli States…c’è poco da stare allegri.

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