«Non potendo entrare diviene legittimo pensare che in essi si determinino condizioni di vita inaccettabili e ripetute violazione dei diritti». Si legge in una nota diffusa dal sindacato dei giornalisti – Fnsi – in riferimento ai CIE (Centri di Identificazione) e ai CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo), che sono da tempo “off limits” per l’informazione, «luoghi interdetti alla società civile e in cui soltanto alcune organizzazioni umanitarie arbitrariamente scelte riescono ad entrare».
«Le poche fonti reperibili di notizie – continua la nota – diventano i video registrati da cellulari, dagli immigrati trattenuti nei centri, le lettere che riescono a partire dall’interno, le telefonate e le testimonianze rese da chi esce o fugge, e quanto arriva non è certo dimostrazione di trattamento rispettoso dei diritti umani. Il prolungamento votato nei giorni scorsi dal parlamento, che consente di trattenere le persone non identificate nei Cie fino a 18 mesi, aumenta il disagio e la sofferenza in cui si ritrovano persone che non hanno commesso alcun reato. Gravi lacune si registrano poi nell’esercizio del diritto alla difesa. A tale scopo chi opera nell’informazione ritiene fondamentale avere modo di poter far conoscere alla pubblica opinione quanto in questi luoghi avviene, le ragioni dei continui tentativi di fuga e rivolta, dell’aumento dei casi di autolesionismo che spesso sfociano nel tentativo di suicidio. L’informazione deve poterne parlare, la società ha il diritto di sapere. Così come migranti e i cittadini stranieri hanno il diritto di essere informati ed assistiti dai legali, dalle associazioni e dai sindacati».
Per questo il 25 luglio, parlamentari di numerose forze politiche, consiglieri regionali, giornalisti, sindacalisti, associazioni e attivisti della società civile saranno davanti ad alcuni CIE e CARA italiani per reclamare il diritto ad accendere i riflettori su queste strutture e sulle persone che vi sono trattenute.