Quando le nuove regole per accedere al fondo per l’editoria? Quale sarà lo stanziamento per sostenere la stampa non profit, di idee, politica e cooperativa? Sarà adeguato? Se lo domandano gli amministratori che devono gestire aziende editoriali oramai vicine al collasso e, soprattutto, chi vi lavora, giornalisti e poligrafici, impegnati a difendere oltre che posti di lavoro e professionalità, testate che arricchiscono il pluralismo del nostro paese. Siamo oramai oltre il tempo massimo.
L’incertezza rischia di uccidere le aziende, esattamente come la decisione di tagliare loro in modo indiscriminato il finanziamento diretto. Quello che resta certo e incontrovertibile sono i tagli retroattivi applicati agli stanziamenti relativi al 2010 su importi già messi a bilancio e spesi dalle aziende. Resta l’incertezza sui finanziamenti relativi al 2011, praticamente già anticipati dalle banche e spesi. E su quelli relativi all’anno in corso.
Una situazione ingestibile per qualsiasi azienda. Tanto più per un settore da tempo in crisi. Lo attesta la sequela drammatica delle testate che annunciano la loro chiusura: la liquidazione coatta de il manifesto e prima ancora sospensione delle pubblicazioni di Liberazione e di Terra e di tante altre testate cooperative e locali. Per non parlare delle emittenti locali. Lo stesso destino de l’Unità è appeso ad un filo. Per non parlare del Riformista, del Secolo d’Italia, di Europa, della Padania, di Avvenire.
È il pluralismo dell’informazione ad essere minacciato. Non erano allarmistici gli appelli lanciati nei mesi scorsi dal Comitato per la libertà d’informazione e la difesa del pluralismo, l’organismo unitario che raccoglie voci e sensibilità politiche e culturali diverse (dalla Fnsi a Mediacoop e Federcoop, dalla Cgil alla Federazione dei settimanali cattolici, dalla Cisi all’Associazione art.21 per la libertà d’informazione) sulle oltre 100 testate a rischio chiusura e sui quattromila lavoratori che rischiavano di perdere il posto di lavoro. Una situazione drammatica denunciata con chiarezza già lo scorso anno dai direttori di cento testate al presidente del consiglio, Mario Monti, ai presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani e ai segretari dei partiti rappresentati in Parlamento. E ancora prima nella lettera inviata al capo dello Stato, Giorgio Napolitano che ha fatto propria questa preoccupazione, raccomandando al governo attenzione alla tutela del pluralismo nel rigore.
Una linea condivisa da tutti. Anche dal premier Monti e ribadita dal sottosegretario con delega all’Editoria, Carlo Malinconico che si era impegnato a definire ai primi di gennaio di quest’anno i nuovi criteri, più rigorosi, legati alla vendita in edicola e al numero dei dipendenti assunti a tempo indeterminato. Bonifica, rigore e risorse: questo era l’impegno. Compresa una disponibilità ad integrare i tagli al Fondo editoria voluti dal ministro Tremonti. Il settore non chiedeva una cifra straordinaria: 180 milioni di euro. Sarebbe costato di più far fronte ai prezzi della crisi del settore.
Ma dalla Finanziaria di Monti non vi è stato alcuna integrazione ai finanziamenti “diretti”. Solo l’apertura di una finestra: l’utilizzo del “Fondo Letta”, quello a disposizione della presidenza del Consiglio per fronteggiare le emergenze e le calamità naturali, per integrare il Fondo per l’editoria e far fronte alle situazioni di crisi del settore. E’ rimasta una “finestra” vuota. Non per Radio radicale che si è vista rinnovare la sua convenzione milionaria. Si è atteso il Milleproroghe, ma malgrado gli emendamenti presentati in Parlamento, la risposta non è arrivata. Sino ad oggi non vi è alcuna integrazione ai 53 milioni del Fondo editoria e nessuna indicazione sui nuovi criteri per accedervi.
Vi sarà un decreto ad hoc della presidenza del Consiglio? I tempi sono strettissimi, servono indicazioni precise. Le proposte sono da tempo sul tavolo. Le ha presentate la Federazione della Stampa, con il segretario Franco Siddi, Mediacoop e gli altri soggetti. Il confronto avviato con il sottosegretario Malinconico, è stato ripreso con il successore Paolo Peluffo. Cosa si aspetta? Siamo a metà febbraio. La situazione per il settore si fa sempre più drammatico. Il premier Monti, suo malgrado, rischia di portare a termine quello che non è riuscito a Berlusconi: la chiusura delle voci critiche e autonome, che non rispondono ai grandi potentati economico-finan-ziari. Se l’obiettivo di questo governo “tecnico” è quello di coniugare equità e sviluppo, può perseguirlo rinunciando a tutelare il pluralismo e quelle voci che alla domanda di equità danno voce.
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