II presidente Monti e una nutrita rappresentanza del governo hanno incontrato il 17 gennaio i governatori delle Regioni meridionali e, fra i vari impegni assunti, hanno ribadito quello di colmare il divario digitale al Sud, estendendo la copertura della banda larga a tutto il territorio entro il 2013. Si tratta di quello che era stato definito il «piano Romani», destinato ad abolire il digital divide che penalizza ancora vari territori, non solo al Sud. I relativi fondi, varie volte promessi, erano stati poi in gran parte destinati ad altre emergenze. Si ricorda, al riguardo, che in questi territori, privi di banda larga, Internet viaggia alla velocità del telefono, mentre la banda ultralarga in fibra ottica (Ngn) è comunque di là da venire.
Il giorno successivo il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò, in un’audizione alla Camera, ha detto che la copertura Ngn è del 10%, con 300 mila utenti cablati e la situazione è di stallo da circa quattro anni. Non dimentichiamo che l’Agenda digitale europea prevede il 100% di copertura per il 2020, obiettivo che sembra ormai irraggiungibile. Ma il dossier digitale si presenta molto aggrovigliato. Basti pensare che la stessa Agcom, giorni fa, aveva varato un regolamento ambiguo sui servizi di accesso alle stesse Ngn: mentre infatti chiedeva a Telecom Italia di garantire ai concorrenti il distacco (unbundling), a loro favore, del doppino telefonico dell’ultimo miglio, usava la formula «ove tecnicamente possibile», che può essere la fine dello stesso unbundling, e quindi della concorrenza.
Si lascia a Telecom, in altre parole, la scelta delle tecnologie, che guarda caso potrebbero essere proprio quelle che non garantiscono l’unbundling. Se ne occuperà l’Antitrust. Ci consoliamo con i cellulari, dove la concorrenza c’è e anche una discreta banda larga.