Nel delitto di calunnia il dolo non è integrato dalla mera coscienza e volontà dell’atto di incolpazione, ma richiede, da parte dell’agente, l’Immanente consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato, non ravvisabile nei casi di dubbio o di errore ragionevole. È questa la conclusione cui è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3179. Tale interpretazione deve ribadirsi tanto più in casi in cui i fatti, valorizzati ai fini dell’art. 368 c.p., sono stati desunti non da una formale denuncia, ma da un atto di citazione, radicato dalla persona accusata di calunnia, nei confronti del suo difensore, persona ritenuta calunniata.
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