L’assegnazione, da parte dello Stato di licenze 3G non costituisce attività economica e non è dunque soggetta all’applicazione dell’Iva. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea decretando che “l’attribuzione di diritti d’uso di frequenze dello spettro elettromagnetico mediante asta da parte dell’autorità nazionale di regolamentazione, responsabile per l’assegnazione delle frequenze, non costituisce un’«attività economica» ai sensi della sesta direttiva Iva e, di conseguenza, non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva stessa”.
Il caso è stato sollevato dagli operatori inglesi e austriaci titolari di licenze di terza generazione, i quali ritenevano che la concessione dei diritti era un’operazione soggetta all’Iva e che quindi i canoni per l’uso delle frequenze erano gravati da questa imposta.
Le licenze per l’uso delle frequenze UMTS sono state assegnate nei due paesi nel 2000 dalla Radiocommunications Agency (Regno Unito) e dalla Telekom-Control-Kommission (Austria) attraverso un’asta pubblica per un importo complessivo pari a 22,5 miliardi di sterline (38 miliardi di euro) nel Regno Unito e 831,6 milioni di euro in Austria.
La Corte ha ricordato che per attività economica si intendono tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi e, in particolare, le operazioni che comportino lo sfruttamento di un bene per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità.
L’attività esercitata da TCK e dalla Radiocommunications Agency – ossia l’assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze agli operatori economici preposti – per la Corte è una condizione necessaria e preliminare per l’accesso di tali operatori al mercato delle telecomunicazioni mobili. Questa funzione costituisce infatti “lo strumento per dare attuazione alle condizioni previste dal diritto comunitario e dirette, tra l’altro, a garantire l’uso effettivo dello spettro di frequenze e ad evitare interferenze dannose tra sistemi di telecomunicazione radio e altri sistemi”.
Tale attività da parte della competente autorità nazionale non configura dunque “una sua partecipazione a detto mercato, ma una funzione di controllo e di regolamentazione dell’utilizzo dello spettro elettromagnetico ad essa espressamente affidata”.
Sono infatti gli operatori titolari dei diritti ad operare sul mercato, sfruttando il bene in questione per ricavarne introiti.
“Il fatto che la concessione dei diritti d’uso in esame abbia dato luogo al pagamento di un canone non è tale da modificare la qualificazione giuridica di quest’attività”, ha decretato la massima Corte.
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