Una classe dirigente formata dai libri per una società ed una cultura meno provinciali, il desiderio mai nascosto di Alberto Mondadori. Un editore d’altri tempi, che non cerca solo i profitti dei bestseller
Editore, ma anche poeta e intellettuale che ha sempre sognato un futuro migliore per gli uomini del ‘900, reduci dagli orrori delle guerre mondiali, bomba atomica, Shoah e gulag, solo per citare alcuni esempi. Ecco chi era, chi è stato, Alberto Mondadori e ora grazie al Saggiatore (la casa editrice da lui fondata nel ’58) possiamo avere un suo fedele ritratto attraverso una raccolta di lettere a cura di Damiano Scaramella e introdotta dal nipote e successore Luca Formenton: con l’aiuto di una cultura nuova e diffusa è possibile un altro mondo, un mondo migliore. Nelle 189 pagine del libro come interlocutori si alternano tutti i grandi della Terra dell’epoca tra politici, Kennedy e Krusciov; scrittori conosciuti in tutto il mondo, Faulkner, Hemingway e Sartre, e scrittori “di casa”, Buzzati, Palazzeschi e Vittorini; poeti, Montale, Quasimodo, Sereni e Ungaretti. E poi alcuni personaggi dal grande rilievo come Ranuccio Bianchi Bandinelli, Bernard Berenson, Giacomo Debenedetti, Roberto Longhi ed Enzo Paci. Per non parlare delle lettere agli editori Valentino Bompiani, Giulio Einaudi e Andrea Rizzoli, ma soprattutto al padre Arnoldo, che mettono in evidenza un rapporto di affetto e critica, in accordo e in disaccordo.
La funzione dei libri
Ancora non era finita la guerra che già Alberto Mondadori scrive al padre la sua idea dell’editoria, supremazia dell’intelligenza, espressione della letteratura colta e di quella più immediata che possa creare una classe dirigente e una massa di lettori in grado di educarsi con la lettura e di costituire così una riserva stessa in grado di rinnovare quella classe dirigente. Una serie infinita di progetti e idee e un amore profondo per i libri, quasi delle persone, con la ferma convinzione nella loro funzione portatrice di progresso civile e sociale. Proprio la fondazione del Saggiatore si inscrive nel percorso da lui intrapreso volto alla sprovincializzazione della società nazionale e della sua cultura. A lui si deve la conoscenza in Italia dei grandi autori dell’antropologia, dell’etnologia, della psicoanalisi, dello strutturalismo, da Husserl a Merleau-Ponty, a Lévi-Strauss, a Jung, a Karl Jaspers, a Jean Starobinski, a Aleksandr Solzhenitsyn, a Konrad Lorenz, a Viktor Sklovskij. Ma non solo, Alberto Mondadori ha svolto un funzione fondamentale per gli studiosi italiani, da Antonio Banfi a Ernesto De Martino, agli scrittori e ai poeti come Amelia Rosselli.
Un editore d’altri tempi
La figura di Alberto Mondadori è inimmaginabile, come scrive Corrado Stajano sulle pagine del Corriere Della Sera, nel mondo degli editori di oggi, dedicati ad una ricerca ossessiva di bestseller che possano risolvere tutti i problemi (soprattutto economici): la cultura, purtroppo, di denaro non ne da molto.
Ma il mestiere dell’editore non è solo questo, anzi: spesso gli autori sono insopportabili, esigono attenzione e contratti congrui alla loro popolarità (anche quando non lo sono). Quasimodo ha da ridire su Saba e Montale, Buzzati realizza dei grandi successi di vendite con “Il deserto dei tartari” e “Un amore”. Mondadori riesce a dire di no a un ministro Dc che raccomanda un poeta, manda a quel paese uno scrittore e poi contatta Kennedy per rendergli nota la prima edizione italiana del suo “The strategy of peace” e cheide a Krusciov la prefazione a una raccolta dei più celebri proverbi russi.
Si dà da fare per il Nobel a Ungaretti nel ’54 e a Bacchelli due anni dopo. Si interessa del Bagutta, scrive una lettera amareggiata e infastidita a Alba de Céspedes che ambiva al Viareggio.
In poche parole: Alberto Mondadori non è mai banale, non usa la diplomazia ipocrita di certe case editrici, affronta di petto tutto ciò che potrebbe allontanarlo dalla sua missione di portare il progresso attraverso i libri.