Un bavaglio per le voci scomode, uno schiaffo alle libertà d’espressione e di informazione che ha colpito, finora, 31 giornalisti in Turchia. Il quotidiano Zaman l’ha definita “la domenica nera” della stampa scomoda. Gli arrestati sono quasi tutti esponenti di alto livello dei media che criticano l’operato del Governo di Ankara.
Tra gli arrestati anche il direttore di Zaman, Ekrem Dumanli, vicino alle posizioni dell’Imam nemico numero uno di Recep Tayyip Erdogan.
In Turchia sembrano convinti che la retata sia da collocarsi sulla scia dello scontro, sempre più aspro, tra il predicatore islamico auto-esiliatosi negli Usa, Fethullah Gulen, e il Presidente turco. Il blitz non ha coinvolto solo giornalisti, ma anche esponenti politici.
Un blitz che era nell’aria
La retata era stata anticipata su Twitter da Fuat Avini, uno pseudonimo tuttora misterioso e molto informato alle spalle del quale sembra nascondersi un sostenitore dell’Imam infiltrato nelle forze di polizia. Dopo la “soffiata”, precisamente venerdì scorso, i giornalisti di Zaman (insieme al direttore Dumanli) si erano recati al Tribunale di Istanbul per sapere se fosse in corso un’indagine su di loro e molti giornalisti hanno deciso di passare le notti in redazione documentando on line l’attesa di un’irruzione delle forze dell’ordine, concretizzatasi poi la notte di domenica. Secondo le indiscrezioni diffuse da Fuat Avini sarebbero in tutto 150 i giornalisti finiti nel mirino di autorità e magistratura turche.
Tale situazione sarebbe da ascriversi all’interno degli scontri tra Erdogan e Gulen, che pure in passato era stato tra i più accesi sostenitori dell’attuale Presidente turco. Secondo Erdogan l’Imam avrebbe creato un vero e proprio Stato parallelo che annovera al suo interno anche poliziotti e giudici. L’Akp, il partito di Governo, ha quindi deciso di approvare una serie di norme per garantire un maggior controllo sugli organi di stato e ridimensionare il peso della confraternita guidata da Gulen.
La rappresaglia di Erdogan
Una vera e propria campagna anti-Gulen, insomma, che ha portato alla rimozione di centinaia di agenti e magistrati dai loro posti di lavoro. E che adesso ha messo anche il bavaglio all’informazione, con cui Erdogan pare lasciar intendere di essere deciso a portare fino in fondo la sua rappresaglia. Proprio lo scorso venerdì il Presidente aveva tuonato: “Presto sentirete nuove cose incredibili. Siamo venuti a conoscenza di omicidi rimasti senza colpevoli di cui sono responsabili”.
Secondo quanto dichiarato da Hadi Salihoglu, il procuratore che coordina l’indagine, gli arresti sono stati eseguiti sulla base di accuse di partecipazione ad una organizzazione terroristica. L’inchiesta riguarda anche casi di presunta frode e diffamazione.
Preoccupazione Usa e Ue
Stati Uniti ed Unione Europea sono in allarme per questi sviluppi, che non creano certo rosee aspettative per il prossimo futuro della politica turca. Sia Usa che Ue hanno infatti condannato ieri il raid delle forze dell’ordine turche e gli arresti. Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera europea, ha definito le misure turche un atto contrario ai valori europei, e quindi in contraddizione con le aspirazioni della Turchia di entrare a far parte dell’Ue. Gli Stati Uniti hanno sottolineato l’importanza, in qualsiasi democrazia, della libertà dei media e dell’indipendenza dell’apparato giudiziario.
La posizione del Governo italiano è stata messa in chiaro dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che ha twittato così: “Italia da sempre in prima fila nel tenere aperto il dialogo tra Ue e Turchia. Ma la libertà di espressione è un valore irrinunciabile”.
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