Il settimanale L’Espresso farà “da cavia”, inserendo un “paywall” sul proprio sito internet per testare la risposta del mercato ad un’offerta di news a pagamento. Il test partirà al più presto, probabilmente entro maggio. Anche sulla scorta di questo esperimento, il Gruppo Editoriale L’Espresso si riserva di decidere poi se, quando e come mandare a pagamento anche i siti web della corazzata, La Repubblica, e dei giornali locali. “Offrire contenuti a pagamento è ormai la strada che tutti gli editori concordano nel voler seguire”, osservano al Gruppo. “Non si può pensare che in Rete tutta l’informazione sia gratis. Già da tempo ci prepariamo al grande passo, se finora non l’abbiamo compiuto è perché bisogna farlo bene. Il popolo della rete ha delle sue caratteristiche molto particolari, bisogna tenerne conto”.
Una prudenza sostenibile anche in ragione dei buoni risultati della divisione, che nel bilancio 2013 espone ricavi pari a 55,7 milioni di euro, in crescita del 5,9% rispetto al 2012 grazie al positivo contributo fornito appunto dai prodotti digitali a pagamento (soprattutto le edizioni tablet) e un risultato operativo di 9,8 milioni per una redditività del 17,6%. Un risultato che, però, è in flessione sul 2012 per il calo del mercato pubblicitario che ha ridotto anche gli introiti del web. Insomma, nemmeno il gruppo editoriale italiano quotato in miglior salute di tutti, appunto il Gruppo Editoriale L’Espresso, può dirsi immune da apprensioni sul versante dei ricavi. Il fatturato della divisione Repubblica è sceso del 15,6% a 234,5 milioni, più di quanto siano scesi i costi (-9,6%), e il margine operativo lordo è stato negativo, sia pur di soli 1,4 milioni di euro.
Fatturato in calo del 9,9% anche per i quotidiani locali, con margine lordo sceso del 5%, ma in questo caso risultato operativo salito del 5,9% grazie ai minori ammortamenti. In linea del 2012, ma sul negativo, il risultato operativo dei periodici (oltre all’Espresso anche National Geographic, Micromega, Limes e Le Guide) che perdono quanto nel 2012, ovvero 5,5 milioni. E numeri critici anche dalla pur forte divisione radio, che totalizza 11,7 milioni di margine operativo con un calo del 35% sul 2012.
Poi c’è il fronte televisivo, che riporta 9,6 milioni di perdite, peggio del 2012, nonostante il taglio dei costi, e che si conferma l’unica “incompiuta” strategica del gruppo. Non a caso, il futuro sembra imperniato più che altro sulla valorizzazione delle frequenze. L’Espresso e Telecom Italia Media hanno annunciato un preliminare d’intesa per far confluire in un’unica società i multiplex di entrambi, trasformandosi così da editori in distributori di contenuti altrui.
Per L’Espresso, una sostanziale uscita dal settore dell’emittenza televisiva, visto che oltretutto Telecom, che apporta tre multiplex contro due, deterrà la maggioranza della società mista. La joint-venture sarà comunque aperta a capitali di terzi, e si è parlato di una trattativa in corso con il fondo di private equity Clessidra. I multiplex però danno una rendita già oggi, visto che sono in parte già affittati, da Mediaset ad operatori di giochi. Deejay Tv continua a non andare bene, e non se ne esclude la cessione, anche se i contatti a tal fine intrapresi con Discovery e con Sky si sono comunque per ora arenati.
Per tutte queste ragioni, il gruppo confermerà anche nei prossimi mesi la linea strategica del taglio dei costi, con ulteriori interventi di efficienza anche sugli organici. In tre anni il personale è stato ridotto da 3.100 a 2.400 unità, a Repubblica è appena stato sottoscritto un piano per 50 ulteriori tagli sull’organico giornalistico con effetto dal 2015, quando si riaprirà una finestra per i prepensionamenti, solo in parte destinati a essere compensati con 15 innesti. Inoltre, L’Espresso sta cercando di promuovere sinergia industriali con altri editori, per la stampa e la distribuzione. Infine, un rischio normativo deriva da un contenzioso fiscale per operazioni legate alla spartizione degli asset con la Mondadori all’epoca della cosiddetta “pace di Segrate” tra De Benedetti e Berlusconi. Il fisco chiede indietro dall’Espresso circa 300 milioni di euro, che il gruppo ritiene di non dover pagare. Una sentenza potrebbe arrivare nel 2015.