L’epopea di Vito Crimi, da anticasta a portaborse

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Vito Crimi, da anticasta a “portaborse”, lautamente pagato (a spese dei collaboratori licenziati). Repubblica ha raccontato del nuovo incarico da 70mila euro l’anno garantito dal partito a lui e all’altra campionessa politica di Paola Taverna. È proprio vero che chi nasce incendiario, prima o poi, muore pompiere. Ma il M5s, in appena cinque anni, ha letteralmente bruciato le tappe. Ed è passato dal sanculottismo più assoluto alla democristianeria più raffinata. Peccato, però, che nel frattempo abbia prodotto, con quel moralismo populista d’accatto che ne ha decretato il successo elettorale nel 2018, danni terrificanti.

Crimi ha esaurito i due mandati e pertanto – come da statuto M5s – sarebbe dovuto tornarsene a fare il “cittadino semplice” nella provincia lombarda. Ma Giuseppe Conte gli ha voluto tendere una mano, carica di soldi. Sarà collaboratore del gruppo M5s alla Camera e avrà riconosciuto un emolumento da 70mila euro l’anno. Casta, insomma. Che più casta non si può. Immaginatevi cosa avrebbe detto, dieci anni fa, del Crimi di oggi, il Vito Crimi di ieri. Probabilmente adesso ha smorzato i toni con se stesso. Anche perché meglio tenere il caso sotto la cenere. Anche perché, riferisce Open, che per dare incarichi a lui e all’altra integerrima anti-casta di Taverna, dal M5s hanno fatto fuori decine di collaboratori parlamentari.

L’ex sottosegretario con delega all’editoria cadrà in piedi. Peccato, però, che non è stato così per le numerose testate giornalistiche che sono state affossate dal suo estremismo. Per tutti quei posti di lavoro che sono saltati, dal momento che i piccoli giornali che si reggevano sul contributo pubblico, sono stati letteralmente seppelliti dalle sue parole di fuoco e dai suoi atti al cianuro. Avrebbe chiuso persino Radio Radicale, ricordate?

Lui resta al caldo della Camera, ma di tutte quelle piccole voci di territorio che hanno chiuso a causa delle sue strette – operate con l’unico scopo di aizzare e accarezzare l’elettorato arrabbiato con toni beceri di chi cerca un capro espiatorio – non ne è rimasto granché. Città, province, che si sono spente. Che non hanno più luoghi di confronto e di dibattito perché il web, il digitale, non arricchisce ma, nelle dimensioni minori, rischia di depauperare.

Chi ha un po’ di dimestichezza con la storia politica, e non solo di questo Paese, sa bene quale è il destino dei rivoluzionari. Se sono furbi, si accomodano al sistema che criticano. Diventandone corifei massimi. Che ne è stato di Di Maio, folgorato sulla via del secondo mandato, e oggi riciclabile addirittura come commissario alla crisi energetica? Crimi, più modestamente, è passato dalle mani di forbici contro i giornali a portare le borse ai colleghi deputati. In mezzo, il disastro. Politico, economico e istituzionale di un Paese.

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