Da buon avvocato misura ogni parola, parla lentamente e lascia che l’interlocutore prenda appunti al ritmo della sua voce. D’altronde la situazione è così complessa che i toni sono per forza bassi. Il tema è l’editoria, la crisi che falcidia giornali e giornalisti, i nuovi media, il nodo del finanziamento ai giornali di partito, il digital divide che mette l’Italia all’angolo e le casse di Palazzo Chigi prese d’assalto da altre priorità. Infine, 30 mila edicolanti, “trentamila famiglie”, puntualizza, che non hanno futuro e che rappresentano una crisi che viene dal passato. Giovanni Legnini, avvocato e parlamentare di lungo corso nelle fila del Pd, ora sottosegretario con delega all’Editoria e all’attuazione del programma di Governo, è cosciente che non c’è spazio per i miracoli. Triste sorte quella dei giornalisti: in prima linea a raccontare i drammi di chi rimane senza lavoro, salvo poi tornare nelle redazioni e fare i conti con crisi, contratti di solidarietà e chiusure di testate. E un futuro che appare sempre più incerto.
Si parte con giornali, radio e tv con i bilanci in crisi.
“Il Governo si muove con la consapevolezza che la crisi ha un carattere strutturale che si intreccia con le trasformazioni del comparto. L’importante accordo siglato lo scorso 6 agosto con tutti i soggetti della filiera lo stiamo traducendo in un quadro normativo e finanziario”.
Legnini, servono soldi e idee. Soprattutto soldi…
“Sì, sì bisogna individuare risorse e vi assicuro che c’è una grande consapevolezza nel Governo e nel Parlamento. E questo mentre incombe l’aumento dell’Iva, la seconda rata Imu, il cuneo fiscale, ecc. Mettiamo in ordine le cose. Gli interventi sono di due tipi: il primo diretto ad agire contro gli effetti della crisi sotto il profilo occupazionale e ordinamentale. Poi c’è il tema del sostegno all’innovazione per il quale occorre costruire un quadro di certezze e lo dico perché siamo già dentro l’evoluzione del sistema. Due esempi di come intendiamo agire: incentivazioni finanziarie per accompagnare il transito più rapido possibile al digitale con nuove start-up e accesso al credito facilitato per favorire la nascita della nuova editoria e il diritto d’autore per garantirne una più efficace tutela nell’era di internet. Penso al rapporto tra i motori di ricerca e gli aggregatori di informazioni e gli editori. In questo senso abbiamo già avviato un confronto interessante e costruttivo con Google”.
A proposito di soldi. I finanziamenti ai giornali di partito restano l’annoso problema. Denaro pubblico per poche copie e pochissimi lettori. Mentre l’on line – ci perdoni un po’ di sana partigianeria – cresce a dismisura e diventa leader per l’informazione…
“I giornali di partito sono trattati all’identico modo degli altri beneficiari dei contributi. La regola è che devono essere gestiti da organizzazioni non lucrative. E poi sono l’11 per cento dei totale delle contribuzioni e prendono il 16 per cento dei contributi. Ora stiamo rifacendo i conti sulla base delle disposizioni del decreto Peluffo e molte testate non avranno più i requisiti. L’orientamento è chiaro e si basa sull’effettività della diffusione e su un rigoroso accertamento dei requisiti di accesso con successivi controlli ancor più stringenti”.
Torniamo ai soldi. Dove li troverete?
“Stiamo lavorando sul tema dell’Iva. Pensiamo ad aliquote agevolate al 4 o al 10 per cento per stimolare l’editoria digitale ma c’è un vincolo europeo che fissa l’aliquota ordinaria sul digitale. E’ un’ipotesi sulla quale stiamo lavorando ma che non sarà facile risolvere”.
E chi invece le news le costruisce secondo il principio della libera e gratuita informazione e quindi non ha abbonamenti?
“Esigenza sacrosanta e ci stiamo lavorando, ma sugli strumenti più efficaci non c’è ancora un’idea precisa”.
Concludiamo con il digital divide. Un pezzo d’Italia ignora cosa sia la banda larga, una buona porzione degli utenti dell’adsl ha livelli di servizio ridicoli. Serve un piano Mashall?
“Intanto spieghiamo che questo Governo ha posto il tema dell’economia digitale e dell’Agenda digitale al centro della sua attenzione. Sugli investimenti occorre fare di più anche se non parlerei di situazione disastrosa ma di un serio ritardo da colmare. L’accesso a internet e ai servizi deve essere trattato come un diritto, come la mobilità e la scuola, evitando di produrre una nuova forma di esclusione sociale”.
Sottosegretario, dove arriva questo Governo?
“Il tema non è durare ma fare. Certo se prevalgono interessi personali o di parte non andiamo lontani”.
Anche in Germania si parla di grande coalizione, quindi è un modello?
“Non parlerei di modello ma di consapevolezza, di presa d’atto dell’urgenza di governare nell’interesse nazionale per gestire la transizione. E poi le dico anche che se si andasse a votare oggi con l’attuale legge elettorale, il risultato sarebbe più o meno quello di febbraio, con tutte le immaginabili conseguenze”.
Autore: Franco Carosi