LE WEB TV ITALIANE? PIU’ FORTI DEL DECRETO ROMANI

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“Se il decreto Romani non ha fermato le web tv dipende dal fatto che è antistorico: non è al passo con la società della Rete, dove se non ti muovi bene ti sfugge tutto. E poi rappresenta una porzione del conflitto di interessi che si vive in Italia, sorvolando sul fatto che è stato scritto da cretini”. Ha le idee chiare Vicinio Bernardini sull’impatto del decreto Romani sul mercato delle web tv italiane: marginale. E lui, 49 anni da Milano, fondatore (e attuale Ceo) insieme ai bosniaci Predrag Mandlbaun e Aris Zukanovic della Ksoft, società internazionale per lo sviluppo di piattaforme per web tv (azienda rivelata poco più di un anno fa dalla francese Ipercast), cioè uno che dal 2005 ad oggi di web tv ne avrà viste nascere più di un migliaio, dell’argomento ne capisce molto.
Per il decreto Romani, in vigore dal marzo 2010, è già tempo di primi bilanci. Quando se ne cominciò a parlare, sembrava che il provvedimento del ministro per lo Sviluppo Economico dovesse porre con tutti i suoi paletti un’asfissiante cappa censoria sul web e, soprattutto, stroncare sul nascere la vitalità di un particolare settore dell’editoria online, quello delle web tv. Invece così non è stato: in tutto il 2010, come dimostra lo studio Netizen dell’osservatorio Altratv.it, in Italia sono nate 150 nuove web television (436 in totale quelle censite), segnando un incremento del +52 per cento rispetto all’anno precedente. Aumentano tutte le tipologie di piattaforme, quelle dedite all’informazione locale, al giornalismo e all’intrattenimento, con gruppi di lavoro composti mediamente dalle 3 alle 5 persone. Il tutto senza beneficiare né di leggi italiane né di leggi comunitarie che prevedano finanziamenti specifici per queste realtà editoriali (la quota di web tv beneficiarie di fondi da Bruxelles si attesta ad appena il 2 per cento del totale). Come si spiega tutto ciò, tenuto conto che il 2010 sarebbe dovuto essere l’anno del rinculo? “Perché le web tv sono più forti del decreto Romani” risponde Bernardini.
Come mai il decreto non si è rivelato quello spauracchio che tutti temevano?
Perché nel suo testo c’è fretta di dire che cosa sia da intendere una web tv, trovando la definizione di broadcaster con palinsesto, playlist e pubblicità.
E questo che vuol dire?
Che tutti quei siti multimediali che offrono video on demand, pensando così di svolgere il ruolo di web tv, per la legge non lo sono e quindi si sottraggono ai suoi obblighi.
E’ una bella scappatoia.
Certo, ma non è solo questo. C’è pure da dire che lo Stato in questo settore semplicemente non ha la forza di perseguire tutti gli inadempienti alla legge.
Fatto sta che la stretta censoria non c’è stata e in Italia continuano a nascere tante web tv: è una spia positiva o negativa? Un mercato crescita o amatori allo sbaraglio?
In verità la situazione è molto caotica: ci sono tante piattaforme online, ma quelle dove c’è professionalità, che funzionano bene e che riescono a fare business sono molto poche, si contano sulle dita di una mano.
Quanto costa mettere su una web tv?
La gestione di una web tv vale almeno 30 mila euro all’anno, ma si consideri che di questi solo il 25-30 per cento è rappresentato da costi tecnici, calati in maniera considerevole negli ultimi quattro anni, mentre a pesare di più è la produzione di contenuti.
Investimenti d poco rispetto alle tv tradizionali, ma comunque considerevoli.
Il problema non è tanto quello dei soldi. Non si dimentichi che le web tv, per funzionare, si devono adeguare alle logiche della rete. Stanziare ingenti fondi, avere una struttura e il personale qualificati non significa necessariamente avere successo. Sul web ci si deve costruire un pubblico, e per farlo bisogna partire dal basso, dai social network e dagli aggregatori.
Tornando al decreto Romani, qual è la sua ratio?
Difendere i prodotti Mediaset dalla rete niente più: per questo definisco il decreto una porzione di conflitto di interessi, del quale si parla poco solo perché fa meno notizia. Mentre la Rai si impegna in prima persona a diffondere i suoi archivi online, perché ha capito che aumenta la su audience essere presente sul web, Mediaset è legata a vecchi modelli imprenditoriali di difesa dei prodotti, per i quali vuole vincolare gli utenti ai propri portali. Ma è una battaglia persa, il decreto non riesce a stare al passo coi tempi.
Perché?
Parto da un esempio: le modalità di fruizione stessa delle web tv. Oggi si va verso la contaminazione dei supporti: in ufficio guardi la tua web tv dal monitor del pc, in viaggio su quello del tablet o dello smartphone, a casa, grazie a set top box o alle nuove net tv, televisioni capaci di collegarsi alla rete, dall’impianto domestico in salotto. Nel decreto Romani di questa evoluzione non c’è traccia: la web tv è quella che si guarda sul computer, cioè qualcosa che tra poco non esisterà più, punto. Se non è antistorico questo…

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