La libertà di stampa non è un’eccellenza italiana; anzi. Se ci fosse un mondiale non ci andremmo, come nel calcio; ma nel calcio l’esclusione dal circolo dei grandi è un dramma nazionale, che per il pluralismo un’abitudine, è da decenni che va così, però riusciamo a fare sempre peggio. Le ragioni sono diverse: una storica concentrazione dei mezzi di comunicazione, il problema mai risolto della commistione tra interessi politici, finanziari, industriali e giornali, le norme sulla diffamazione che diventano deflagranti per l’inefficienza della giustizia. E in questo panorama tipicamente italiano, che già non è un bel vedere, si sono aggiunti fenomeni internazionali, come la perdita di credibilità dei giornalisti, l’appiattimento dell’informazione disinformata dei social network. E ogni volta che escono le graduatorie i politici italiani si comportano come i genitori dei figli somari di oggi: attaccano i criteri di redazione delle classifiche, tutti figli delle dottrine della Montessori, la Maria nazionale diventa madonna per assolverli dai peccati. L’unico laico è Luigi di Maio, capo del partito che i cessi li manderebbe a pulire ai giornalisti. Panzana per panzana, squola per squola, quale è il problema? I direttori della Rai. E allora altro che epurazione di Berlusconi, il modello è quello del buon Erdogan, tutti a casa, vaffa day per loro. Il servizio pubblico diventa cosa loro. Il metodo dei padri dei figli ciuchi cambia: basta contestare le valutazioni dei maestri: bisogna eliminarli. Il nuovo che disavanza.
Enzo Ghionni
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