In tema di intercettazioni, le fonti confidenziali non possono essere utilizzate solo ai fini dell’apprezzamento del quadro indiziario.
La Cassazione chiarisce che, in tema di intercettazioni, il richiamo dell’articolo 267 c.p.p. all’articolo 203 dello stesso codice [sull’inutilizzabilità a fini di prova delle informazioni acquisite dal confidente di polizia] è espressamente limitato alla valutazione dei gravi indizi di reato, onde è legittima l’attività intercettiva nei confronti di un determinato soggetto, già attinto da gravi indizi di reità per il reato oggetto del procedimento, rispetto al quale il ricorso alla fonte confidenziale sia utilizzato solo per acquisire il numero di una nuova utenza utilizzata da sottoporre a controllo.
Infatti, osserva il giudice di legittimità, la disciplina di garanzia, proprio per evitare abusi nell’utilizzo dello strumento delle intercettazioni, richiede, quale primario requisito, l’esistenza di un grave quadro indiziario, in proposito vietando che, ai fini della verifica dell’esistenza di tale quadro, possa tenersi conto di acquisizioni derivanti da informatori di polizia: la limitazione, in altri termini, si riferisce al presupposto costituito dall’esistenza di gravi indizi di reato.
Per il resto, invece, conclude la Corte, essendosi pur sempre in presenza di un’attività investigativa, la polizia giudiziaria può avvalersi di tutti gli strumenti tipici e può, quindi, tra l’altro, accedere ad informazioni confidenziali che siano utili ad orientarne le mosse (come, ad esempio, ai fini dell’identificazione dell’utenza telefonica utilizzata dal soggetto da sottoporre a controllo).
(Cassazione penale Sentenza, Sez. IV, 04/01/2008, n. 108 – E.K.M.)
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