Fino allo scoppio della crisi, la Grecia era – anche per i giornalisti – un piccolo bengodi. In un paese di 11 milioni di persone si contavano 11 canali televisivi nazionali e oltre 100 locali, 71 stazioni radio nazionali e oltre 300 regionali, oltre 22 quotidiani nazionali (di cui ben otto sportivi, un record mondiale) e un numero incalcolabile di periodici. Buoni stipendi e generose pensioni assicuravano ai professionisti dei media uno status sociale davvero invidiabile. Anche in questo settore, però, c’è un prima e un dopo: e il dopo – avvero l’oggi – vede senza lavoro il 30 per cento dei giornalisti professionisti mentre si allunga la lista delle testate che hanno cessato le pubblicazioni, a iniziare dallo storico Apogevmatini, chiuso allo scoppio della crisi nel novembre 2010, nonostante fosse di proprietà del gruppo Sarantopoulos. Stesso destino per il settimanale economico Kosmos tou Ependyti, che aveva visto la sua diffusione ridursi al contagocce. E per quelli che ancora vanno in edicola, la situazione non è migliore: il secondo giornale più diffuso del paese, Eleftherotypia, non riesce a pagare i suoi 135 giornalisti dallo scorso agosto e la proprietà ha presentato istanza di fallimento al tribunale di Atene, lamentando debiti per oltre 50 milioni di euro. Stessa situazione in piccoli giornali come Avriani, Express, Xenios, Epikinonia, Kitrinomavri Ora, o nella tv privata Alter, dove centinaia di persone non hanno ricevuto buste paga negli ultimi sei mesi.
Per quanti ancora ricevono uno stipendio, peraltro, incombono misure d’austerità davvero draconiane. Il sindacato dei giornalisti ha denunciato come gruppi editoriali come la tv SKAI o il giornale Ethnos stiano incalzando i loro dipendenti per rinegoziare i contratti di lavoro con tagli salariali fino al 30 per cento. E c’è chi va oltre, come spiega una giornalista economica, che preferisce rimanere anonima, il cui datore di lavoro «chiede che i nostri stipendi vengano ridotti di quasi la metà a 450 euro al mese». Le cose non vanno meglio neppure nei media statali, dove i licenziamenti hanno colpito i lavoratori della televisione e della radio NET oltre alla agenzia di stampa Amna, mentre gli altri hanno sperimentato un taglio delle buste paga del 25 per cento in linea con quello effettuato agli altri dipendenti del settore pubblico. Ma non è solo una questione di posti di lavoro e stipendi. Come spiega Dimitris Trimis, presidente dell’ESIEA, il sindacato dei giornalisti greci, il rischio è che la crisi finisca con il limitare il diritto dei cittadini all’informazione. «Non siamo le sole vittime della crisi, ma la società sarà danneggiata da questa carenza di informazione» ha detto alla Dpa. «Ci stiamo dissanguando, assistiamo a un numero crescente di giornalisti che lavorano come free-lance, con salari bassissimi e nessuna tutela», aggiunge, ricordando come il sindacato abbia offerto più di 340.000 euro in aiuti e cibo ai colleghi dall’inizio della crisi. «Teoricamente, vorrei essere là fuori a riferire sulla crisi economica, e invece mi tocca aiutare altri giornalisti, come me, che sono finiti vittime della crisi» osserva.
Alla base di questo tracollo del sistema informativo ci sono diverse ragioni: da una parte, il drastico calo degli introiti pubblicitari degli investitori privati ma soprattutto statali, dall’altra la fine del credito facile. Ma dietro molte testate, denunciano i colleghi di Atene, c’erano editori ‘impuri’ e gruppi d’affari che spesso hanno utilizzato i media per perseguire propri interessi e oggi hanno ritirato i propri contributi. In questo contesto si inserisce l’azione dei giornalisti di Apogevmatini che hanno denunciato al fisco il loro editore, un uomo d’affari che avrebbe tratto profitto per anni di ricchi contratti nel settore delle costruzioni e delle infrastrutture. «Lo abbiamo denunciato per sospetto riciclaggio di denaro sporco e per aver dirottato i fondi in conti off-shore», spiega Viki Samaras, uno dei 55 giornalisti del quotidiano, senza stipendio dal luglio 2010.
Ma i giornalisti non sono a loro volta immuni da colpe, spiegano alcuni osservatori, dal momento che molti ricevevano contributi dai politici sotto forma di tangenti, prestandosi a lavori di propaganda, laddove stazioni radio e tv dipendevano dal governo per il rinnovo delle licenze, concesse su base temporanea. «I giornalisti non hanno colpe, l’intero sistema viveva in una bolla che improvvisamente è scoppiata», conclude Trimis.
In questo scenario molti giornalisti cercano con determinazione di non disperdere il patrimonio professionale, nonostante gli scioperi. I dipendenti di uno dei quotidiani storici, Eleftherotypia, sono riusciti a stampare e vendere con successo due numeri del loro giornale nonostante le pressioni del loro editore. Oggi il loro lavoro prosegue su un blog. E la crisi ha aperto nuovi spazi per pubblicazioni indipendenti, che sono riuscite a raccontare in modo nuovo la Grecia che sta venendo fuori dalla crisi finanziaria. Catarsi, in fondo, è una parola nata proprio da queste parti.