Senza tariffe certe; il contratto vale poco, forse niente. Tutto dipende dal buon cuore dei produttori.
Così è il lavoro precario in Rai. Lo racconta, a Il Salvagente, un’anonima collaboratrice di testi, 35 anni, in Rai da 10. Tipo di contratto: consulente a cottimo.
La precaria ci mostra come funziona la tv pubblica all’interno, evidenziandone parecchie pecche.
Sembra non esistere una distinzione tra i ruoli e le qualifiche professionali. I precari sono tutti uguali. «Che siano giornalisti chiamati con altre mansioni, autori o collaboratori di testi non cambia molto».
Per quanto riguarda la clausola “antigravidanza e antimalattia” la precaria di Viale Mazzini è molto chiara: «chi ha bazzicato a lungo i corridoi di Viale Mazzini sa bene che quel punto 10 del contratto di consulenza era una prassi, accettata da tutti: in fondo la Rai non fa altro che utilizzare gli stessi contratti di consulenza utilizzati dalle migliaia di aziende nel resto d’Italia». In fondo anche la stessa Lei ha rivendicato “la normalità” di tali postille prima di eliminarle.
Il contratto, anche se si tratta di un consulente esterno a cottimo, da un potere enorme al datore di lavoro. Regna la discrezionalità. Dunque molto dipende dalla fortuna e dalla “bontà” del produttore. Alla nostra precaria è andata bene. «La produttrice fu molto carina, mi permise di lavorare da casa e mi riconobbe il pagamento delle puntate. Poi appena stetti meglio tornai al lavoro».
Nella tv pubblica non si assiste a “strigliate” o a licenziamenti “ a sangue freddo”. Ciò che dovrebbe essere un diritto sancito dal contratto è appannaggio della comprensione e della pazienza ai produttori Rai. Doti umane che per fortuna non mancano. «Il comportamento all’interno delle redazioni è sempre stato corretto. Anche quando colleghi si sono dovuti assentare per un paio di settimane per malattie o infortuni, nessuno ha mai interrotto la loro collaborazione. Ma questo non toglie che tutto sta al buon cuore della produzione, e se trovi il produttore che ti vuole mandare via ha tutta la facoltà di farlo».
Non manca uno scorcio lucido che evidenzia le ambiguità e le opacità gestionali. Ci sarebbero più produttori di programmi che programmi. «Li vedi arrivare la mattina, timbrare, poi timbrare a fine giornata, e tu non sai cosa abbiano fatto per tutto il giorno».
Non esistono compensi fissi. Dei riferimenti precisi ci dovrebbero essere che nei contratti a cottimo. Invece «all’interno di uno stesso programma puoi trovare un collaboratore che prende 100 euro a puntata più Iva, e uno, con la stessa mansione, che prende fino a 4 volte tanto. Tutto è discrezionale, in Rai».
Possibilità di far carriera? Poche. «A Viale Mazzini si dice che conta il precedente, e cioè ci si basa sulla retribuzione del primo contratto: difficilmente può salire, più spesso l’ho vista abbassare. In ogni caso ogni cosa è a discrezione dell’ufficio contratti».
La qualità del lavoro individuale può valere poco. Invece può risultare decisiva la persona che ha segnalato il collaboratore.
Anche l’attrezzatura da lavoro dipende dall’operosità del produttore. Non tutti hanno la fortuna di trovare un pc sulla propria scrivania. Molti devono portarselo da casa.
Poi la presenza fisica in ufficio. Nel contratto non è obbligatoria, anzi l’affollamento della redazione sarebbe anche vietata dalle norme di sicurezza. Tuttavia «tu devi andare, come fai a collaborare con il gruppo se lavori da casa? Ricordo una volta, avevo preso un altro lavoro, era nel mio pieno diritto, per un po’ di giorni non mi recai in redazione, svolgevo le mie mansioni da casa. A un certo punto ricevetti la telefonata del produttore».
Una domanda sorge spontanea: dove sono i sindacati?
Egidio Negri