L’Ai cinese ribadisce i pericoli di un mondo affidato ai Big tech

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La Cina fa un balzo nel campo dell’intelligenza artificiale e dà scacco all’America e al suo esercito di Big Tech. Si chiama DeepSeek e minaccia di sconvolgere i mercati dal momento che, tra le altre cose (leggi i costi più bassi), offrirebbe prestazioni più che accettabili, paragonabili a quelle dei diretti concorrenti, a fronte di investimenti (specialmente in chip) molto più bassi. Una mossa importante che svela la via “socialista” all’Ai annunciata negli anni scorsi da Pechino. L’America vieta l’export di chip di ultima generazione, la Cina si fa la “sua” intelligenza artificiale utilizzando semiconduttori e hardware forse più datati ma ugualmente, agli effetti pratici, prestazionali. Cosa accadrà nel futuro è la domanda che si pongono tutti. Il cammino verso l’Ai sembra ineluttabile e, con essa, i rischi che comporta in termini di posti di lavoro, dunque economia, e di libertà, quindi di democrazia. Il fatto che DeepSeek sia cinese e “censuri” alcuni dei temi più controversi legati all’Asia, a cominciare da piazza Tienanmen, riporta d’attualità quanto potere abbiano i padroni del vapore digitale. Che, come purtroppo è già accaduto, possono decidere con un clic il destino di intere aziende, famiglie e lavoratori. Ma, contestualmente, possono scegliere cosa dobbiamo leggere e quando. Non proprio un aspetto rassicurante. Che, però, c’è e c’è stato e continua a esserci. I grandi contenitori di notizie che selezionano, in base a criteri scelti a monte da aziende private, cosa offrire e cosa no all’attenzione dell’internauta. Google e Meta che fanno la parte del leone con gli incassi della pubblicità, l’analisi dei Big data e la trasformazione stessa del settore pubblicitario. La loro resistenza alle normative sul copyright, gli equi compensi da corrispondere ad autori ed editori. La minaccia che sia un algoritmo, un modello di intelligenza artificiale a scrivere i giornali, come già accaduto anche in Europa. La democrazia, oggi, vive un momento di tensione. Dall’astensione fino alla sfiducia che premia i leader forti e sempre meno propensi al confronto e al dibattito. Eppure la democrazia va difesa per evitare che si corrompa nelle democrature che fanno paura all’Occidente. E, per farlo, c’è bisogno del pluralismo e di sottrarre, al monopolio del Big Tech digitale, che sia americano o cinese, il sostanziale oligopolio dell’informazione, della cultura, del dibattito. Altrimenti non se ne esce e rischiamo di finire dritti nell’incubo della tecno-cratura.

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