Pubblichiamo una sentenza della Cassazione Civile risalente al 26/08/2014. Ad aver ricorso alla Suprema Corte è il gruppo Espresso contro la pronuncia in appello che lo condanna a risarcire i danni alla ASL di Roma per la pubblicazione di un articolo ritenuto esorbitante i limiti del diritto alla cronaca. La Corte di appello ha ritenuto fondate le domande risarcitorie, correlativamente escludendo l’esimente del diritto di cronaca invocata dalla controparte, per la considerazione che la notizia, certamente lesiva della reputazione, non poteva ritenersi “sostanzialmente” vera – come opinato dal primo Giudice – per avere attribuito agli appellanti la falsa posizione di imputati, anzichè di indagati. La parte ricorrente deduce la sussistenza dei presupposti per la scriminante del diritto di cronaca, sul presupposto della commissione, da parte della giornalista (non in possesso di una conoscenza rigorosa dei termini giuridici), di un errore marginale, che non avrebbe modificato la struttura del fatto narrato, il quale sarebbe stato, comunque, astrattamente produttivo di danno, anche se diffuso con rigorosa esattezza. Il motivo non merita accoglimento. Soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia di esso soddisfa all’interesse pubblico dell’informazione, che è la ratio dell’art. 21 Cost., di cui il diritto di cronaca è estrinsecazione, e riporta l’azione nell’ambito dell’operatività dell’art. 51 cod. pen., rendendo la condotta non punibile nel concorso degli altri due requisiti della continenza e pertinenza. L’esimente, anche putativa del diritto di cronaca giudiziaria di cui all’art. 51 cod. pen. va, dunque, esclusa allorchè manchi la necessaria correlazione tra il fatto narrato e quello accaduto, il quale implica l’assolvimento dell’obbligo di verifica della notizia e, quindi, l’assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto esposto, nonchè il rigoroso obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di sorta, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi. Affinchè eventuali inesattezze possano considerarsi irrilevanti ai fini della lesione dell’altrui reputazione, esse devono riferirsi a particolari di scarso rilievo e privi di valore informativo (cfr. Cass. 18 ottobre 2005, n. 20140), occorrendo, in concreto, accertare se la discrasia tra la realtà oggettiva ed i fatti cosi come esposti nell’articolo abbiano effettivamente la capacità di offendere l’altrui reputazione. E questo costituisce un giudizio di merito che, se motivato in modo congruo e logico, resta immune da censure in sede di legittimità. Il Collegio ritiene che la sentenza abbia fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, ponendo in evidenza come la vicenda giudiziaria sia stata riferita in maniera sostanzialmente alterata, per essere stato dato conto della richiesta del rinvio a giudizio, anzichè dell’avviso di garanzia comunicato agli odierni resistenti. Link alla sentenza:
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