Il processo di transizione dalla tecnologia analogica a quella digitale è reso inevitabile dalle decisioni Comunitarie e dall’evoluzione della tecnologia ma, è bene sottolinearlo, è particolarmente importante per l’Italia in quanto fornisce un’occasione irripetibile di razionalizzazione della caotica situazione esistente.
Punto fondamentale è che il processo deve necessariamente terminare nella situazione prevista dal Piano digitale e che questo deve avvenire con un costo minimo per operatori e utenti.
Questo processo non può essere affidato al solo mercato. Il “trading”delle frequenze è vanificato dalla mancanza di una certificazione di qualità delle frequenze in esercizio e può essere utilizzato esclusivamente per “spegnere” trasmettitori interferenti. Quest’uso esclusivamente difensivo, oltre a creare rendite di posizione, non consente, se non marginalmente, l’acquisto delle frequenze per una destinazione diretta al nuovo servizio digitale. Pertanto, un processo di transizione guidato dal “trading” non farebbe altro che rafforzare le posizioni dominanti (anche a livello locale) e creare una configurazione di poche reti digitali principali gestite dagli operatori che dispongono di frequenze libere o ridondanti e di migliaia di frequenze analogiche e digitali fortemente interferenti.
Senza entrare troppo nel merito, sarebbe ora che il Ministero delle Comunicazioni si svegliasse. Dicano quali sono le regole. Diritti e doveri per tutti. Solo così il digitale terrestre può diventare la tecnologia vincente. Nessuno vuole rimetterci, giustamente. Gli operatori locali non aspettano altro che investire. Ma prima vogliono garanzie. Senza di quelle il digitale terrestre non avrà futuro.
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