Confindustria si scaglia contro il contributo pubblico ai giornali. Bastano poche parole al presidente Carlo Bonomi per riportare in auge temi e argomenti che la realtà degli ultimi anni, con la sconfitta sul campo delle (se così si possono chiamare) idee grilline di strozzare i quotidiani erano fallite davanti alla prova dei fatti. Questa volta sono gli imprenditori italiani, anzi il capo degli industriali, a chiedere “sostegni agli investimenti” e non soldi “per far stare in piedi” i giornali. Gli stessi, anzi lo stesso, che fino all’altro giorno urlava contro l’Ue perché avrebbe voluto un fondo sovrano europeo (a debito) per sostenere l’industria di fronte alla transizione ecologica e digitale.
Al convegno per i 75 anni de La Provincia, Bonomi ha detto che “per una sana democrazia ci vuole la libertà di stampa ma il contributo di stato fa venire meno quella libertà”. Una contraddizione in termini, quasi “pro domo sua”. È fin troppo noto, infatti, che senza sostegno pubblico i giornali (così come già accaduto ai partiti…) finiscono per dipendere in tutto e per tutto dagli inserzionisti, dai loro interessi e dai loro investimenti pubblicitari. Le parole del capo di Confindustria, implicitamente, rappresentano un’enormità che tira in ballo tutta l’Europa. Non c’è democrazia sana nei maggiori Paesi Ue dove il finanziamento ai giornali è una realtà che non sconvolge nessuno?
La retorica bonomiana è quella secondo cui, se lo Stato paga, i giornali non hanno abbastanza libertà di stampa. In pratica, è lo stesso armamentario utilizzato – dalla parte opposta – dalle frange no vax che criticano il lavoro dei giornali ventilando, su altre posizioni, “corruzioni legalizzate” e su questo assunto (fasullo, sia chiaro) costruiscono il piccolo successo di fanzine, canali Youtube e altri spazi disinformativi. Fa specie, in realtà, che a indugiare su tali argomenti sia, addirittura, l’editore di uno dei più grandi giornali italiani, il Sole 24 Ore.
Ai media grandi, al “mainstream”, la posizione dei giornali locali non è mai piaciuta granché. Soprattutto negli ultimi tempi. Eppure sono le voci dei territori che concretizzano, attuano e rendono reale la costituzione, contribuendo in maniera decisiva al dibattito pubblico, dunque alla democrazia grazie all’attuazione di quel grandissimo principio fondativo alla base del patto sociale democratico nel nostro Paese, il pluralismo. Purtroppo, negli anni, abbiamo già dovuto assistere alla battaglia piuttosto farneticante, a dire il vero e nessuno s’offenda, lanciata contro le voci del territorio. Per calcolo, per sperare di eliminare tanti piccoli concorrenti che insieme, su scala nazionale, diventano un competitor importante. Per questioni personali.
Carlo Bonomi ci ripensi. Capita a tutti di sbagliare, il problema non è l’errore è la perseveranza nello sbaglio. Lui in fondo è il presidente degli industriali italiani, non un Saviano qualunque.
Ricordiamo che entro il prossimo 31 gennaio 2025, le imprese editrici di testate che accedono…
Il Garante per la privacy sanziona ChatGpt: per Sam Altman e la sua Open Ai…
La notizia è passata, come spesso accade, quasi in sottofondo. In Italia Google è il…
Usigrai torna ad alzare la voce e lo fa sul piano di incentivazione all’esodo promosso…
Il gruppo Visibilia passa di mano: lo ha annunciato Il Giornale, ieri sera, nell’edizione online…
La voce ricavi di Google “vale” tre volte quella di Rcs-Cairo Communications, cinque volte Gedi.…