Per drammaturghi, compositori, sceneggiatori, autori di tutto l’audiovisivo, autori di canzoni, e scrittori, cioè la fonte principale del nostro immaginario e spina dorsale dell’industria culturale del paese, non è prevista alcuna pensione da parte dello Stato.
Pertanto, sin dal dopoguerra, all’interno della Siae, gli autori avevano creato un fondo privato (detto non a caso di Solidarietà), alimentato con parte dei proventi dei loro diritti, a prescindere dai guadagni e dal successo sul mercato.
Questa condivisione – fatta unicamente tra professionisti – serviva a garantirsi in vecchiaia una somma mensile di 600 euro. Si trattava perciò di una soluzione tra privati per sostituire, almeno in parte, il vuoto di tutela da parte dello Stato.
Una sentenza del consiglio di Stato del ’92, una legge del 2005 e due note dei ministeri vigilanti (Beni Culturali e Ministero dell’Economia) hanno individuato in questo vitalizio degli autori una sorta di pensione, che esercitata in quel modo, poteva risultare illegale.
Le discordanze in materia erano state risolte da uno studio attuariale durato dal 2004 al 2010, costato agli autori 600 mila euro. Andavano solo inserite le soluzioni in un nuovo regolamento societario in armonia con i ministeri vigilanti.
I commissari Siae (Gian Luigi Rondi, Mario Stella Richter e Luca Scordino), assieme al direttore Gaetano Blandini (per il quale sono previsti premi per la buona gestione), hanno fatto carta straccia dello studio cavalcando tutta la vischiosità che si è creata attorno alla parola “pensione” e “Assegno di Professionalità” (appunto il mensile di 600 euro).
Hanno perciò chiuso il Fondo, che oggi ammonta a un capitale di 90 milioni di euro, messo fine alla solidarietà tra soci Siae, lasciato all’asciutto i mille autori che avevano costituito con i propri soldi quel capitale, ridotto in miseria centinaia di anziani, rimettendo ogni soluzione a una futura legge per la pensione degli autori che deve però essere ancora pensata.
In armonia con la decisione dei commissari sono i ministeri vigilanti, il governo Monti (che approvando il nuovo statuto ha ratificato tale decisione), e lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che non ha mai risposto all’appello firmato da Scola, Lizzani, Maraini e centinaia di altri artisti italiani di centinaia di autori.
Gian Luigi Rondi, commissario straordinario e firmatario del provvedimento, è convinto che ogni polemica sulle “pensioni” degli autori sia “stata risolta col massimo equilibrio”, e di aver “ascoltato tutte le associazioni di categoria”. Queste non solo negano di essere state ascoltate, ma non sono mai state ricevute dal ministro Ornaghi che, prima dell’approvazione dello statuto, ne ha ricevuta una sola: la Federazioni Autori, presieduta da Gino Paoli, assieme ai rappresentanti dei grandi editori musicali.
In più di duecento autori hanno presentato ricorso al Tar del Lazio che si pronuncerà in via cautelare dovendo dare una risposta urgente allo stato di indigenza nel quale versano molti artisti, chiedendo il ripristino del Fondo di Solidarietà e dell’assegno mensile erogato agli anziani.
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