Google è il più potente e utilizzato tra i motori di ricerca, l’indirizzario di tutti gli indirizzi. Come tale abbatte tante barriere nello spazio e nel tempo. L’impresa fondata da Sergei Brin e Larry Page ha conquistato una posizione dominante della quale tende ad abusare. Ad accendere la spia rossa è il contenzioso con la stampa. Rupert Murdoch accusa Google di lucrare sulle notizie che acquisisce dai suoi giornali senza nulla pagare.
Gli editori italiani avevano già posto il problema all’Antitrust: Google News pesca nelle singole pagine web dei siti online senza nemmeno chiedere permesso e senza passare attraverso le home page dove si concentra la pubblicità; i giornali italiani possono solo subire o impedire l’accesso a Google News, nel qual caso, però, finirebbero fuori non solo da Google News ma da Google rendendosi di fatto irraggiungibili dagli internauti. L’algoritmo di Google, infatti, è uno solo.
Questo scontro fa emergere la nuova natura che il motore di ricerca ha acquisito grazie alla sua crescita esponenziale: da brillante applicazione fra le tante possibili su Internet è diventato esso stesso infrastruttura. Come aveva profetizzato nel 1997 David Isenberg, le telecomunicazioni, madri del web, diventano stupide e l’intelligenza migra nell’informazione: ieri era la rete a portare i dati dove voleva, adesso accade il contrario.
L’infrastruttura di telecomunicazioni ha una fisicità che la situa dentro i confini degli Stati e perciò la rende regolabile da Autorità e governi. Il grande motore di ricerca opera in uno spazio virtuale ed extraterritoriale dove non esistono Autorità e governi.
Un Grande Fratello che, come le telecomunicazioni, sa tutto di noi ma, diversamente dalle telecomunicazioni, non ha particolari obblighi di rispetto della privacy. Un’ impresa formidabile che realizza i suoi guadagni in un altrove non tassabile come dimostra la mancata tassazione delle attività che svolge in Italia. Oggi, l’imposizione fiscale su soggetti controllati dall’estero viene applicata quando questi soggetti abbiano una stabile e significativa organizzazione sul territorio. Nell’economia virtuale gli affari si fanno senza questa presenza fisica e tuttavia non sono meno affari. E come tali dovrebbero comunque versare un ragionevole tributo.
Massimo Mucchetti (CORRIERE.IT)
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