Paola Severino (foto) ha mostrato di essere una ministra di parola, ma soltanto per quanto riguarda il rispetto delle date: ha infatti varato persino in anticipo sulla data prevista (13 agosto) il provvedimento che modifica l’organizzazione degli Ordini professionali. Ma non ha tuttavia tenuto nel debito conto, se non sulla questione dell’assicurazione obbligatoria, la peculiarità della professione giornalistica, della quale aveva nel recente passato, anche pubblicamente, riconosciuto autonomia e specificità. Il decretino di mezza estate ha corretto alcune sconcertanti scelte dello schema diffuso due mesi fa, quando la responsabile della Giustizia aveva ipotizzato di affidare la tutela della deontologia in primo grado agli Ordini delle regioni più vicine e l’appello addirittura ai primi dei non eletti, quelli che il gergo (non sempre finissimo) dei giornalisti definisce trombati. Ora si torna a criteri più accettabili: saranno i giornalisti indicati dai colleghi e scelti dai Tribunali a vigilare sulla correttezza di chi scrive per professione. Delude tuttavia l’assenza di un disegno di riforma, la volontà di modificare profondamente una legge vecchia di cinquant’anni con poche ma incisive norme che una giurista del livello di Paola Severino non può non condividere se vuole contribuire a rendere l’Ordine dei giornalisti più efficiente e più credibile.
L’impressione è che la ministra abbia personalmente le idee ben chiare ma non intenda scontrarsi con quanti, in Parlamento e fra i giornalisti, intendono mantenere una struttura figlia dell’Ottocento. Nel 2012 giornalista deve essere chi lo fa, chi viene retribuito per scrivere e paga i contributi all’Inpgi. Non si può continuare con l’antistorica divisione fra professionisti e pubblicisti che penalizza tanti giovani sfruttati e ridotti a precari e consente a iscritti ad altri albi professionali (medici, avvocati, etc.) non soltanto di essere iscritti all’Ordine ma anche di rappresentare i giornalisti nei Consigli. Giornalista è chi ha la necessaria preparazione, figlia di una laurea e di un tirocinio seri o e rigoroso. Giornalista è chi rispetta le regole deontologiche, non fa marchette praticando la commistione fra informazione e pubblicità, non scrive il falso, verifica rigorosamente le notizie. Laurea, dunque (basta con la favola del praticantato sul campo, che nessuno fa più nelle forme dei decenni scorsi), elenco unico nel quale si entra soltanto se si supera l’esame di Stato e si versano contributi all’Inpgi, e grande rigore etico: se ne sente il bisogno davanti a un giornalismo fazioso e impreciso che va perdendo di credibilità giorno dopo giorno.
Dobbiamo infine mettere ordine in casa nostra. Noi che ogni giorno sulle colonne dei giornali e dagli schermi, per non parlare del web, rivolgiamo irate prediche a politici e amministratori sollecitando tagli di poltrone e scelte anticasta abbiamo un Consiglio nazionale di 150 componenti, che diventerà ancora più pletorico nel 2013 se una nuova legge non impedirà di arrivare a quota 153. Ma a che servono tanti consiglieri, soprattutto dopo che la parte disciplinare verrà affidata a una specifica commissione? Cinquanta, al massimo sessanta, sono più che sufficienti a garantire l’attività amministrativa dell’Ordine nazionale.
Un testo di legge di riforma giace nei cassetti del Senato dopo un voto unanime della Camera che lo approvò in sede deliberante. La ministra Severino si è detta pronta a presentare un maxiemendamento al testo che porti a una riforma. Speriamo lo faccia, inserendo alcuni punti qualificanti: la metà del Consiglio deve essere di consigliere donne, non più del venti per cento dev’essere formata da pensionati per consentire al Consiglio di rappresentare chi vive sul campo successi e drammatiche sconfitte di una professione sotto attacco. E nessun consigliere dell’Ordine dev’essere contemporaneamente dirigente del sindacato, dell’istituto di previdenza, della Casagit, o, peggio, di organismi di categoria di altre professioni. Noi che parliamo agli altri di compatibilità, ineleggibilità, e anche di numero di mandati, dobbiamo finalmente essere più rigorosi.
Ma soltanto una legge ci può spingere sulla via della virtù. Una legge che ci aspettiamo dalla ministra Severino, alla quale garantiamo che un Ordine più rigoroso nel fare giustizia sui limiti dei giornalisti italiani può farle risparmiare la fatica di un delicato e insidioso provvedimento sulle intercettazioni: siamo contro ogni legge bavaglio, pronti a punire chi, fra noi, non rispetti privacy e dignità delle persone. Lo abbiamo già fatto, lo faremo meglio con un Ordine riformato. Qualsiasi intervento esterno sulla stampa rischia di mettere in forse la democrazia e la libertà dell’informazione, già duramente provate nel nostro Paese da poderosi conflitti di interesse e dall’assenza quasi totale di editori puri.
Dobbiamo saper rispettare le regole, questo è il punto ma un Ordine riformato sarà anche un Ordine più rigoroso ed efficiente. E una legge di riforma si può fa re con grande rapidità. Se lo si vuole.
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