La riforma della previdenza della Manovra Monti (decreto legge 201/2011, convertito con la legge 214/2011), al fine di garantirne la sostenibilità, ha riguardato diversi aspetti tra cui l’aumento dell’età pensionabile, il calcolo del vitalizio che è passato dal sistema retributivo a quello contributivo anche per coloro che rientravano nel solo sistema retributivo, l’abolizione delle pensioni di anzianità e il blocco della perequazione per due anni per le fasce più alte di pensione. La manovra è anche intervenuta sulle Casse di previdenza dei professionisti. Rimane però da verifi-care l’effettiva sostenibilità, in particolare legata alla crescita del Pil, parametro di rivalutazione dei contributi nel sistema contributivo, alla stabilità dei rapporti di lavoro e soprattutto al raggiungimento di un adeguato tasso di sostituzione, considerando la prestazione pensionistica derivante dal sistema previdenziale di base e quella complementare.
Data risposta alla sostenibilità (anche se resta ancora da verificarne la tenuta durante il periodo di pagamento delle pensioni in relazione all’evoluzione dell’aspettativa di vita e dei coefficienti di trasformazione) resta apertissimo il tema dell’adeguatezza dell’assegno pensionistico. Gli attuari hanno già messo a disposizione del Governo le loro competenze, numeri e possibili soluzioni alla mano, per lavorare alla reimpostazione di tutto il sistema previdenziale basato sulle due componenti, quella base e quella complementare, ormai per larga parte fondate sul sistema contributivo, con l’obiettivo di raggiungere un tasso di sostituzione adeguato per tutti e risolvere quindi in modo strutturale e duraturo un problema vitale per il Paese.
Per quanto riguarda le Casse di previdenza che gestiscono la previdenza di base dei professionisti;l’articolo 24 della Manovra Monti ha imposto loro di dimostrare la sostenibilità per 50 anni, basata sul solo equilibrio fra entrate per contributi e uscite per le pensioni (saldo previdenziale annuo). La riforma, però, non ha tenuto conto della “via maestra” da utilizzare per la verifica di tale sostenibilità, ovvero il bilancio tecnico attuariale che tiene conto anche del patrimonio, dei relativi proventi e delle spese generali. Solo così si potrà valutare correttamente l’equilibrio delle Casse, con particolare riferimento a quelle basate in tutto o in parte sul sistema retributivo.
Lo sviluppo del bilancio tecnico richiede la formulazione di ipotesi di medio/lungo termine coerenti con gli scenari demografici, finanziari ed economici, non condizionate dalle situazioni “contingenti”, ma ragionevoli e supportabili nel lungo periodo.
È poi assolutamente necessario un costante monitoraggio per verificare se le ipotesi formulate tengono nel tempo, avvalendosi di analisi di sensitività, di stress test e di asset liability management. Ben venga un ripensamento in qualche modo preannunciato, ma non ancora esplicitato da parte del Governo, sul tema degli interessi prodotti dal patrimonio; la coerenza vuole ora che anche il patrimonio stesso sia recuperato nelle valutazioni insieme alle spese generali. La professione attuariale è pronta a ragionare anche sull’introduzione del margine di solvibilità, che si ritiene necessario soprattutto per le Casse di previdenza ancora basate in tutto o in parte sul sistema retributivo, ma che non andrebbe calcolato come un numero di annualità o una percentuale forfettaria del patrimonio, ma con modelli attuariali che rispecchino i rischi delle singole Casse. Si tratterebbe di operare in modo simile al settore assicurativo con il modello SolvencyII, applicando una formula standard comunque basata su criteri tecnico-attuariali e in alternativa con un modello intento attuariale più sofisticato.
Allo stesso modo è necessario intervenire sulla previdenza complementare che rischia di non assolvere alla sua funzione, ovvero fornire prestazioni che, sommate a quelle della previdenza di base, siano sufficienti a raggiungere un tasso di sostituzione adeguato. In primo luogo è necessario rendere adeguata la contribuzione per chi è iscritto e incentivare l’adesione per chi non lo è. Gli attuari stimano che sia necessario dal primo giorno di attività versare almeno il 10% del proprio reddito da lavoro per disporre in un sistema contributivo di un’adeguata rendita complementare al momento del pensionamento.
Bisogna tornare anche a ragionare sulla obbligatorietà delle adesioni, semplificare ancora la fiscalità e rivedere alcune cause di uscita (in primis l’eliminazione dell’anticipazione per altre esigenze, che è l’antitesi del fondo pensione).