La mamma di tutte le privatizzazioni, quelle della Telecom, rischia di diventare la mamma di tutte le nazionalizzazioni. Esproprio proletario dell’Ilva a parte. Quando, infatti, si è trattato di prendere una società in grado di generare flussi impressionanti di cash flow per una situazione di monopolio dovuto alla titolarità di una infrastruttura di rete tra le più avanzate del mondo, sviluppata da una società pubblica, al grido di basta con il pubblico, il baffetto d’Italia, con l’appoggio di tutto il gotha del pensiero politico ed economico italiano, ha dato il là ad un insolito concerto. Tanti violini a suonare, tanti soldi andati di qua e di là, ma la rete è rimasta, in sostanza, quella di venti anni fa. Nonostante lo sviluppo della tecnologia, nonostante l’energia digitale, la banda larga, anzi larghissima, anzi tanto larga da sembrare una bandana. E sì, perché tra il dire ed il fare c’è di mezzo l’investimento; nel bilancio va tra le immobilizzazioni, ma nel conto in banca va nelle uscite e per fare finanza i soldi servono maledetti e subito. E che nella vicenda Telecom ne siano girati tanti, ma davvero tanti, ben venga, per l’alta finanza italiana. Ma torniamo a noi. Questo investimento si ha da fare, disse lo Stato. E fatelo voi, rispose la Telecom: ci scindiamo, disatomizziamo, la rete ve la restituiamo subito subito, tal quale ce l’avete data tanti anni fa. E va bene disse lo Stato, qua o si fa lo sviluppo o si muore. Ma poi interviene l’Autorità che, decidendo di fare il suo mestiere oltre che poetare, dice a Telecom: quello che pagano gli operatori della rete attuale è troppo, “assaje”, si dice dalla parti dove nacqui. Il che significa che quanto pagano gli utenti è troppi, proprietà riflessiva nata in quelle parti dove la filosofia serviva a pensare alla democrazia e non la democrazia a pensare alla filosofia. Il board di Telecom ha iniziato a passeggiare intorno alla palazzina dell’Autorità dicendo: o caspita, ma se l’investimento lo fanno altri e noi perdiamo la rendita che ci pagano gli utenti che facciamo da grandi? E la risposta fu “la rete è mia e me la gestisco io”.