L’attuale crisi economica ha ulteriormente inasprito le già precarie condizioni dell’industria dell’informazione. Le contraddizioni introdotte da internet, in merito a un modello di business sostenibile, sono comuni ad altri importanti settori dell’economia basati sulla produzione di un contenuto digitale. Come rendere fruibile l’erogazione di un servizio garantendo la copertura finanziaria dei costi se articoli e notizie possono essere letti gratuitamente?
La capacità di sopravvivenza dei gruppi editoriali dipenderà dal ritmo di migrazione dei lettori dalla carta stampata al web. Più è lento, più i giornali avranno tempo di adeguarsi. Gli annunci chiusura dei giornali sono pertanto prematuri, il sistema ibrido online – offline risulterà nel breve periodo il modello economico più valido. Tuttavia il volume della pubblicità su carta tende ad essere decrescente. Da qui la necessità di adottare un nuovo approccio editoriale. L’idea attorno alla quale l’industria della carta stampata si è coagulata è la convinzione che si possa preservare la vecchia forma organizzativa, che la logica di un contenuto generalista sia sostanzialmente valida e che sia necessario un semplice lifting digitale. Niente di più sbagliato. Solo pochi grandi gruppi potranno permettersi di offrire un’informazione generalista di qualità; la grande maggioranza dei giornali dovrà puntare sulla focalizzazione ovvero su una serie di elementi informativi che rappresentano i punti di forza della testata.
Ma la cosa non è così semplice. In Italia il Governo negli ultimi anni ha disposto, attraverso leggi finanziarie e decreti leggi una mera trasformazione dell’azienda editoriale, specie quella assistita. Dapprima l’eliminazione del diritto soggettivo, successivamente con una serie di tagli al fondo che hanno di fatto messo in ginocchio non soltanto le piccole cooperative giornalistiche di tipo religioso, ma l’intero comparto. La chiusura di “Liberazione”, e quella imminente del “Manifesto” rappresentano le punte di un iceberg della scellerata politica che il Governo ha messo in atto negli ultimi anni. A nulla sono valsi gli avvertimenti e i moniti del sindacato e dello stesso Presidente Napolitano. I fondi all’editoria sono sempre stati tagliati verticalmente fino ad arrivare alla misera somma di 53 milioni, ovvero nemmeno un terzo del fabbisogno del settore. Se il Governo ha deciso di “ammazzare” il pluralismo allora è il momento giusto per fare chiarezza dicendolo a chiare lettere. Da parte mia mi sono stancato di leggere appelli ed elemosine al Monti/Tremonti di turno. Dicano chiaramente cosa intendono fare, in maniera tale che tutti sappiano di chi sono le colpe e responsabilità. Sono ormai lontani i tempi in cui l’ex Presidente della Repubblica Ciampi nel famoso messaggio alle Camere al suo insediamento diceva:” la garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta; si tratta di una necessità avvertita dalle forze politiche, dal mondo della cultura, dalla società civile”. L’unica nota lieta in questo contesto è rappresentata dalla figura del nuovo sottosegretario con delega all’editoria Paolo Peluffo. Ma purtroppo lui da solo non sembra bastare.
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