Un martellante messaggio pubblicitario della Rai sta ricordando a tutti i telespettatori l’obbligo di pagare il canone entro il mese di Gennaio. A chi si permette di obiettare qualcosa sulla stampa quotidiana, l’Ufficio stampa della concessionaria si premura di precisare la natura di imposta del canone, che viene “girato” alla Rai “anche in applicazione del Contratto di Servizio”. Ma a quale Contratto fa riferimento l’Ufficio stampa Rai, a quello sistematicamente inapplicato dalla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo?
Il 6 dicembre scorso, il Direttore Generale della Rai, Luigi Gubitosi, parlando del contratto di servizio 2013/2015, preannunciò che difficilmente si sarebbe potuto firmare entro il 2012, in quanto Agcom non aveva ancora fornito le relative linee guida. In verità, già il 29 novembre 2012 il Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni aveva approvato la delibera n. 587/12/CONS relativa proprio alle “linee-guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo ai sensi dell’articolo 45, comma 4, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177”, ma come è ormai consuetudine da decenni, il Contratto di Servizio Rai non è mai stato firmato prima o subito dopo la scadenza del precedente, anzi spesso dopo oltre un anno.
Tuttavia, nulla di rivoluzionario è contenuto nelle 24 pagine predisposte dall’Autorità per richiamare ai suoi obblighi la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, se non il pressante appello a rendere “riconoscibili, nell’ottica della trasparenza e della vigilanza sull’impiego delle risorse pubbliche, i programmi dei generi finanziati dal canone e quelli finanziati con risorse commerciali. A tal fine la Rai deve opportunamente valorizzare i programmi di servizio pubblico, in particolare quelli a carattere informativo, che riscuotono significativo successo di audience e che presentano un saldo attivo tra costi di produzione e ricavi da pubblicità. Fermo restando che, indipendentemente dalla individuazione di un programma come espressione del servizio pubblico, in via generale dovranno essere attuati valori quali la libertà d’espressione, il diritto di replica, il pluralismo, la tutela della diversità culturale e linguistica, la tutela dei minori e della dignità umana e la protezione dei consumatori. La Rai, oltre a pubblicare il bilancio di esercizio e gli esiti della contabilità separata sul sito Rai, deve rendere pubblici in termini comprensibili ai cittadini i valori di allocazione del contributo pubblico per singole aree di attività (programmazione televisiva e radiofonica di servizio pubblico, sviluppo delle nuove tecnologie, quote europee e produttori indipendenti, minori, parità di genere, iniziative per persone con disabilità sensoriali, miglioramento del servizio tecnico)”.
Si spera, pertanto, che la nuova Rai condotta dal duo Tarantola-Gubitosi voglia gratificare i cittadini che pagano il canone di una maggiore trasparenza sull’utilizzo delle risorse pubbliche, trasparenza che fino ad oggi è assolutamente mancata.
In verità, da qualche mese, sono state finalmente pubblicate sul sito di Rai-Corporate Governance, le “misteriose” relazioni redatte dalla società di revisione incaricata da Agcom di verificare “la conformità dei dati relativi alla contabilità separata della Rai ai criteri metodologici previsti dalle normative di settore”. Relazioni da sempre richieste, invano, dalle associazioni dei consumatori e la cui pubblicazione era stata sollecitata da tempo dalla stessa Corte dei Conti.
Al riguardo, sarebbe interessante conoscere la valutazione di tali dati da parte di esperti economisti, tenuto conto che i bilanci della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo – i cui negativi risultati sono stati posti a fondamento delle continue richieste di aumento del cd. “canone” – spesso sono stati oggetto di critiche sia da parte di studiosi della materia (tempo fa Sergio Chiusani, nell’ambito di una ricerca della CGIL), sia dello stesso organo di controllo contabile.
In attesa di qualcuno che faccia un po’ di chiarezza sui disastrati bilanci Rai, tutti sono tenuti a pagare quella che è diventata la seconda tassa più odiata dagli italiani, dopo l’introduzione dell’IMU.
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