L’Europa perde il 2,7% di pubblicità. Le risorse si spostano nei mercati “vergini”. Cambiano anche i mezzi di pubblicità di massa. La stampa e la tv sono in crisi, soprattutto in Italia. Cresce il web. Google e Facebook raccolgono miliardi di euro di sponsor all’anno. Twitter si attrezza per “rubare” informazioni commerciali agli utenti e venderle alle aziende. Il tutto, ovviamente, salvaguardando la privacy.
La crisi c’è. Non c’è dubbio. Ma a pagarla è solo l’Europa. Le aziende vendono meno. Di conseguenza hanno meno risorse per investire in pubblicità. Dunque gli stimoli indotti al consumatore diminuiscono. E la gente compra meno. Di conseguenza si produce anche di meno. E il circolo vizioso inizia da capo. Ciò, però, non succede in tutto il mondo.
Le grandi multinazionali e i grandi investitori pubblicitari (i cosiddetti “big spender), infatti, continuano ad spendere e a promuovere i loro prodotti. Ma dove? Non certo in Europa. Nel Vecchio Continente i consumi sono diminuiti. Sono, quindi, i Paesi in via di sviluppo che ricevono gli spot. In primis ci sono i cosiddetti “Bric”, ovvero Brasile, Russia, India, Cina. Ma non mancano altre realtà asiatiche e sudamericane in sensibile ascesa.
Morale della favola: le risorse degli sponsor migrano lì dove c’è bisogno di “arruolare” nuovi consumatori. Dove è necessario conquistare fette di mercato costituite miliardi di persone.
La mappa della pubblicità globale, insomma, sta solo cambiando coordinate. Ma, stando ai dati pubblicati da Repubblica Affari e Finanza, in campo ci sono sempre gli stessi protagonisti e le stesse risorse da investire. Infatti nei primi sei mesi del 2012 sono stati spesi, globalmente, 277 miliardi di euro. Una cifra superiore del 2,7% di quella profusa nello stesso periodo del 2011.
Come detto in precedenza, però, questo denaro non viene speso in Europa. «Il mercato pubblicitario è la fotocopia di come sta cambiando il mondo dell’economia», ha affermato Alberto Del Sasso, manager di Nielsen Italia, azienda leader nelle analisi del mercato.
E in effetti l’economia sembra avere altri epicentri, lontani dall’Europa. Il Vecchio Continente ha chiuso il primo semestre del 2012 con un -2,7% di raccolta pubblicitaria. Un dato peggiore della decrescita media del Pil dei vari Paesi.
In chiaroscuro la situazione degli Usa. Sempre nel primo semestre del 2012 gli investimenti pubblicitari hanno visto un aumento del 2,4%. Tuttavia c’è da considerare l’iniezione di liquidità immessa dalla Fed, la Banca nazionale statunitense, e la presenza delle elezioni presidenziali. Infatti i dati saranno probabilmente rivisti nella seconda parte dell’anno.
Intanto altri Paesi conoscono il “boom” degli spot. L’Indonesia mostra un +25%; la Turchia un +13%; e poi l’Argentina, il Brasile, l’Arabia, la Nuova Zelanda sono tutti oltre il 10% di crescita pubblicitaria.
Dunque il vecchio mondo “europacentrico” e “filoccidentale” sembra non più appetibile ai grandi investitori. È in atto una sorta di “rivoluzione geopolitica ed economica” che mira a “colonizzare” miliardi di persone sparse nei Paesi in crescita.
E i grandi investitori si regolano di conseguenza. «I big spender non ragionano più in termini di singoli Paesi, ma di macro-aree», ha spiegato Del Sasso.
Non si tratta, tuttavia, solo di una traslazione di Paesi e continenti. Sono cambiati anche i mezzi di pubblicità di massa. La tv e la stampa, ormai da anni, non sono più gli unici media di massa. Ora c’è la rete. Proliferano nuove piattaforma tecnologiche. Parliamo dei motori di ricerca, dei social network e della telefonia di ultima generazione.
E infatti la stampa e la tv sono in crisi. I periodici hanno registrato, a livello mondiale, un calo del 1,3%. I quotidiani, a livello globale, guadagnano l’1,3%, ma non in Europa dove la stampa giornaliera perde il 5,2% di sponsor. Uniche eccezioni la Turchia e la Norvegia. In questi Paesi i quotidiani reggono bene.
Non fa eccezione l’Italia. Il Belpaese, nei primi otto mesi del 2012, ha perso 560 milioni di euro di pubblicità, registrando un -10,5%. In crisi tutto il settore dei media. I quotidiani perdono il 13,9%; i periodici il 16,2%; la tv il 10,9%; la radio il 7,4%; il cinema crolla verticalmente del 22%; la cartellonistica del 13%.
Solo Internet si salva. E questo ovunque. Nel mondo la raccolta degli sponsor sulla rete è salita del 7%. In Europa, e anche in Italia, è salita dell’11%. Infatti nei primi otto mesi del 2012 il web, nella Penisola, ha totalizzato 429 milioni di spot (nel 2011, nello stesso periodo erano 386).
Dunque, a livello mondiale, non sono solo aumentati i mercati di riferimento, ma anche le piattaforme di smistamento dei messaggi pubblicitari.
E Google la fa da padrona. Il motore di ricerca del colosso di Mountain View raccoglie, ogni anno, 36 miliardi di pubblicità (700 milioni in Italia). Il social network più noto, Facebook, rastrella 3 miliardi (200 milioni in Italia). Ma nel 2013 si ipotizza un guadagno da spot di 5,6 miliardi. In ascesa anche il mondo degli smartphone. Per il 2015 nei cellulari di nuova generazione potrebbero confluire ben 23 miliardi di spot.
Il mercato e il mondo stanno cambiando. Questa crisi, per dirla come i cinesi, rappresenta anche un’opportunità di cambiamento. Tutti i segmenti del mercato dovrebbero intercettare le nuove tendenze, metabolizzarle e farle proprie. Nel mondo attuale della condivisione esasperata di tutti e tutto, le informazioni necessarie per supportare operazioni di marketing possono arrivare anche dagli stessi utenti.
E Twitter, il social network dai 140 caratteri, si sta evolvendo proprio in tal senso. «Abbiamo già trovato il modo di elaborare in forma anonima le informazioni che il nostro parco utenti ci fornisce. Noi lavoreremo questi dati e li venderemo ai maghi del marketing. Ma attenzione, non violeremo la privacy», ha dichiarato Tony Wang, general manager per l’Europa di Twitter. In altre parole Wang sembra aver trovato la quadratura del cerchio. E così Twitter sfrutterà il flusso spontaneo di informazioni che i 550 milioni di utenti nel mondo, di cui 4 in Italia, forniscono, ogni giorno, gratuitamente.
In effetti gli utenti dei social sono anche consumatori. E in quanto tali lasciano informazioni preziose durante gli scambi di messaggi. «Forniremo alle aziende dati dettagliati sui comportamenti degli utenti, sui loro desideri di consumatori, le loro reazioni ad un determinato evento televisivo e sportivo. Noi elaboreremo questi dati in forma anonima, li impacchetteremo e li venderemo alle aziende», ha spiegato Wang.
Mai come in questa epoca, l’informazione è potere.