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La lezione di libertà di Indro Montanelli

Questa terribile pandemia ha modificato il nostro stile di vita, gli usi, le abitudini. Le mascherine, il gel, il terrore di un abbraccio, il terrore che uno starnuto incute. Paure, dubbi, incertezze.

Ma rimane una costante, ancora, in parte dell’opinione pubblica, un forte scetticismo nei confronti dell’informazione, dei giornalisti, al servizio sempre di qualche interesse, per i più benevoli, strumentali a complotti complessi, secondo i più cattivi. Sicuramente oggi il rapporto tra potere e informazione è molto più blando rispetto a cinquanta anni fa, quando i giornali erano effettivamente finanziati dallo Stato, non come oggi, sulla base di una legge che non ammette discrezionalità, ma da aziende pubbliche e para pubbliche. Ed erano anni di forti tensioni sociali, in cui il modello della democrazia cristiana si contrapponeva alla svolta comunista, con dinamiche internazionali sicuramente molto più aspre di quelle di oggi.

Le tensioni di oggi erano guerra, seppur fredda, allora. Qualche mese fa, sempre con riferimento al valore dei giornalisti, la memoria di un simbolo di questa professione, Indro Montanelli, è stata infangata, come è stata deturpata la piccola statua a lui dedicata a Milano. In realtà, il pensiero di Montanelli ha tutti gli elementi che infastidiscono il politicamente corretto che tanto infarcisce le bocche, quanto mortifica il pensiero: conservatore, cinico, freddo, sprezzante in alcune considerazioni. Facile chiamarlo suddito del potere, come più volte, troppi hanno detto. Pare opportuno raccontare un fatto perché i fatti contano, anche se non solo singolari e non sono quotidiani.

Correva l’anno 1965 e Giulia Maria Crespi, l’editrice di riferimento del Corriere della Sera, manifestava la sua insoddisfazione nei confronti del direttore Alfio Russo tentando di ingerire nella linea editoriale che voleva più progressista. Montanelli le scrisse: “In Corso Venezia (a parte quel gran signore e gentiluomo che è Suo Padre) noi troviamo una dinastia di proprietari divisa in due: una metà vorrebbe che “Il Corriere” diventasse “Il Giorno”; l’altra che diventi “La Notte”. A volere che “il Corriere” resti “Il Corriere” ci siamo soltanto noi che lo facciamo. E che continueremo a farlo, sulla linea de “Il Corriere”, piaccia o non piaccia ai suoi amici. Finche ci saremo. Lei, si capisce, può liberarsi di noi. E per quanto mi riguarda io Le metto a disposizione fin d’ora il mio posto, dove del resto mi trovo a disagio… Badi, però, i suoi poteri si limitano a questo: mandarci via. Ma non ha quello di farci fare il giornale che piacerebbe ai nostri nemici. Perché lei, cara Giulia Maria, è la proprietaria de “Il Corriere”, ma non la nostra padrona. Rifletta su questa distinzione, perché ho l’impressione che lei non l’afferri bene. Ed è strano, per una persona che professa idee progressiste. Noi, invece, poveri reazionari, abbiamo in proposito idee molto chiare”.

Aristotele ci ha fornito gli strumenti logici per collegare i concetti sulla base delle proprietà transitive. E fatti, dati e opinioni tendono verso un’unica direzione.

Enzo Ghionni

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