La cronaca di una morte annunciata per le tv locali comincia quando la Penisola sceglie di abbandonare la tv analogica per passare ai bit che consentono di far entrare in una frequenza fino a sei canali. Le emittenti vengono obbligate a sperimentare la nuova tecnologia e a investire per rinnovare trasmettitori e ponti. Ma almeno un obiettivo c’è (prima che l’ultima Legge di stabilità lo alterasse): tutte le tv approderanno all’era digitale. Arrivano i primi switch-off. Ed ecco le tegole: i problemi di ricezione penalizzano soprattutto le locali; e nella numerazione automatica che arriva fino a quota 600, le tv di provincia si perdono nel mare delle offerte. Lo scorso dicembre il Ministero dell’economia decide di fare cassa destinando un sesto dell’etere televisivo alla banda larga mobile. Saranno messi dall’asta 9 dei 56 canali tv. L’introito stimato è di almeno 2,4 miliardi di euro. E a chi saranno tolte le frequenze? Il decreto ‘Omnibus’ è chiaro: alle locali.
Nelle regioni dove la televisione è già in digitale, i nove canali dovranno essere liberati entro il 31 dicembre 2012. In pratica alle ‘piccole’ che hanno già avuto la concessione toccherà fare un passo indietro. «Con problemi soprattutto in Lombardia e Campania dove c’è carenza di frequenze rispetto al numero di emittenti», precisa Rosario Alfredo Donato, direttore della Federazione radio televisioni. Invece nelle regioni che passeranno al digitale nei prossimi mesi, quei canali non saranno assegnati. Il caso della Toscana è emblematico. Entro dicembre è previsto lo switch-off: le locali che irradiano nella regione sono 70 ma i canali a disposizione saranno 19. Anche considerando gli spicchi provinciali, almeno la metà rimarrà fuori. Le graduatorie regionali dei ‘salvati’ e dei ‘sommersi’ verranno stilate in base ai bandi del Ministero dello sviluppo economico che usciranno a giorni, basati su quattro parametri: il patrimonio di una tv al netto delle perdite; i dipendenti a tempo indeterminato; la copertura del segnale; e la longevità. Criteri che azzopperanno le tv della porta accanto. Come quelle d’ispirazione cattolica, fondate sul volontariato e dove i bilanci si chiudono a fatica. Le locali rimaste senza canali potranno – bontà loro – affittare uno spazio nei multi-plex delle emittenti che hanno mantenuto la possibilità di essere operatori di rete. «Ma sarà come avere la patente e non possedere l’auto – sostiene Marco Rossignoli, presidente dell’associazione di categoria Aeranti-Corallo -. E per far transitare il proprio segnale occorrerà chiedere un passaggio».
Poi andrà in fumo l’intero pacchetto di investimenti per i sistemi di trasmissione: se si opta per l’affitto, si dovranno utilizzare antenne e ripetitori di altri. Certo, le locali ‘espropriate’ potranno ricevere un risarcimento: secondo la legge, la torta da spartirsi sarà di 240 milioni lordi (pari a un decimo dell’incasso previsto per la gara della telefonia 4G). «Una somma insufficiente», avverte Donato. «Serve almeno il triplo per coprire i costi sostenuti dalle emittenti per il digitale e avvicinarci al reale valore di mercato delle frequenze», aggiunge Rossignoli. Che cosa attendersi? Il direttore della Frt non si fa illusioni: «Era prevedibile che col digitale avremmo assistito a una razionalizzazione delle tv locali e che sarebbero state premiate le imprese più strutturate». Nonostante le difficoltà, però, c’è la ferma convinzione che la partita ora si fa decisiva. E le emittenti in bilico non hanno alcuna intenzione di darsi per vinte.
(Avvenire)