Una vignetta di Altan di qualche tempo fa diceva: «Se non ti ammazzano, sequestrano o arrestano, finisce che muori di fame». Ma al peggio non c’è mai fine. La condanna per diffamazione a 14 mesi di carcere per il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, e l’ipocrita levata di scudi da parte di politici e giornalisti in sua difesa, non è servita a nulla.
La fretta di tirar fuori al più presto dal cilindro una legge salva Sallusti rischia di gettare alle ortiche una delle rare occasioni di disfarsi di quell’aggeggio fascista che prevede il carcere per chi scrive (articolo 595 codice penale). Ma qualcosa è sfuggito di mano al pool bipartisan capeggiato da Maurizio Gasparri (Pdl) e Vannino Chiti (Pd) e la legge per salvare Sallusti rischia di trasformarsi in un trappolone. Visto che anche con la liberticida legge attuale comunque in carcere per diffamazione non ci è mai finito nessuno (o quasi) ai politici è venuta l’idea geniale di mettere mano al portafoglio dei giornalisti. Il nuovo testo della legge Gasparri-Chiti ovviamente cancellerebbe il carcere per questo tipo di reato. E fin qui tutto a posto.
Quel che non va bene sono le pene pecuniarie. Verrebbe introdotta una multa minima di 5mila euro, senza tetto. Ma soprattutto verrebbe fissato un valore minimo al «risarcimento del danno» patito da chi è stato giudicato diffamato: 30mila euro. Oggi se un giornalista pubblica un aggettivo di troppo, un’inesattezza, un giudizio, causando un danno, al massimo può essere condannato a una multa di poche centinaia di euro. In futuro (il massimo non è fissato), in teoria potrebbe dover pagare anche milioni. I giornalisti di solito non pagano, perché paga, «in solido» l’editore. Il rischio, dunque, è quello di mettere in ginocchio i giornali (già in crisi) e di lasciare impuniti i querelanti selvaggi.
L’Italia è una nazione dalla querela facile soprattutto da parte di giudici e politici che la usano come potente strumento di intimidazione. E di certo con questo disegno di legge lo diventerà ancora di più. L’effetto è paralizzante: quando ti chiedono un milione, dieci milioni di danni, la prossima volta ci stai più attento a quello che scrivi. Anche le sanzioni accessorie non sono bruscolini: interdizione temporanea della professione per sei mesi. Cioè andrebbe rifatto l’esame di Stato. Insomma meglio darsi al giardinaggio.
E ieri sui giornali si è scatenato l’inferno contro quello che alcuni chiamano già «il vero bavaglio per la stampa italiana». Marco Travaglio, che nei giorni scorsi si era sbilanciato verso Sallusti, ieri è ritornato nei suoi panni. Sul Fatto quotidiano ha definito la legge Gasparri-Chiti una «porcata che si limita ad abrogare le pene detentive tout court, anche per i diffamatori professionali e incalliti». E ancora «una schifezza liberticida spacciata per un capolavoro di civiltà, solo perché nessun giornalista rischierà più il carcere (finto)».Giornali diametralmente opposti ma stesse opinioni: Filippo Facci su Libero vede la nuova legge «una toppa peggiore del buco. Tutti si metterebbero a querelare, confidando nella statistica, il che non solo ingolferebbe i tribunali, ma terrorizzerebbe i giornalisti (che nel dubbio, di volta in volta, non scriverebbero). Tutto per scongiurare una carcerazione che non veniva disposta praticamente mai».
La via d’uscita da questa che sta diventando una farsa ci sarebbe. Come scrive l’esperta di diffamazione Caterina Malavenda sul Sole24Ore, «per escludere la reclusione tanto vale abrogare subito, magari con un decreto legge, l’articolo 13 della legge sulla stampa, e lasciare al nuovo Parlamento la modifica strutturale di un sistema che sconta il lungo tempo trascorso da quando è stato introdotto e la non condivisibile idea che, eliminato il carcere, ai giornalisti si possa chiedere di pagare somme assai elevate». Ma è il coraggio che manca. Monti e Napolitano quel decreto non lo vogliono fare perdendo l’opportunità di togliere il carcere per i reati di opinione. E questo è il risultato: da questa brutta storia uscirà un’altra legge che limita la libertà.
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